Suburbicon è una città meravigliosa ed entusiasmante... Firmato George Clooney

Cinema
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In programmazione questa settimana al Cinemino di Milano e in tante altre sale italiane, Suburbicon, diretto da George Cloney e acclamato al Festival di Venezia 2017. E Clooney non è l'unico grande nome: la sceneggiatura è firmata dai fratelli Coen e i protagonisti sono interpretati da Matt Damon e Julianne Moore. Di seguito la recensione del film.

“Suburbicon è una città meravigliosa ed entusiasmante” recita la sceneggiatura scritta dai fratelli Coen per la regia di George Clooney dell’omonimo film. Siamo nel 1959 e, in America, Suburbicon rappresenta la cittadina-modello. La borghesia perbene abita ville ordinate, allineate lungo viali alberati con giardini dall’erba verdissima. Ma Suburbicon è anche la cittadina che si autodistrugge dall’interno, logorata da tutto ciò che appare sempre uguale a se stesso. Come se i cittadini, proprio per una naturale spinta all'omologazione, premessa di presunta felicità, ad un certo punto non avessero più niente da dirsi. Con la noia che piano piano si trasforma in accidia e quindi in odio. Ma finché tutto rimane ingessato nei ritmi di sempre, nulla traspare, nulla si modifica. Quando invece spunta l'elemento estraneo, come una famiglia "nera" che pretende diritto di cittadinanza lungo i viali sorridenti della cittadina "bianca", ecco che gli abitanti modello, gli insospettabili, svelano il peggio di sé. E nasce l’invidia, la pretesa assurda e infantile di avere tutto per sé. E nasce la violenza alimentata dall’odio dei rivali all’interno della stessa comunità. Ma, secondo il copione di sempre, quando la violenza esplode è necessario trovare un capro espiatorio. Come è altrettanto necessario che il "colpevole" per definizione, sia estraneo alla comunità, sia l'altro da sé, sia l'elemento irrinunciabile per riportare pace tra gli abitanti, quelli autentici, i cittadini veri. La colpa è del "misfatto", vero o presunto, è quindi naturalmente dei "neri". Non c’è storia che tenga.

Tutta la comunità di Suburbicon entra così nel caos quando una famiglia di colore si trasferisce nella villa affianco a quella dei Lodge. Si arriva addirittura a firmare una petizione per cacciarli. Quando poi la moglie di Gardner Lodge viene tragicamente assassinata da due malintenzionati che, una sera, piombano in casa, tutti puntano il dito contro “i neri”. Nessuno sospetta che il male possa nascere dall'interno, in quella casa linda e accogliente dove nulla e nessuno avrebbe mai potuto alzare un dito contro la povera Rose. Come se l'odio non potesse trovare spazio dove tutto, apparentemente, appare ordinato, pulito, profumato. Tragico e lieve, dissacrante e violento, sorprendente e cupo, il film alterna i registri secondo modelli collaudati ma sapientemente rivisti, con l'obiettivo palese di portare lo spettatore a prendere le distanze dal perbenismo formale che di null'altro si alimenta se non del suo desiderio di mantenere tutto fermo, intangibile e rassicurante. Ma, senza sviluppo e senza crescita, anche le migliori tradizioni finiscono per corrompersi e morire. Peccato che nessuno l'avesse spiegato per tempo ai probi cittadini di Suburbicon.

 

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