RI-SCATTI. CHIAMAMI COL MIO NOME, al PAC mostra fotografica sulla vita transgender

Spettacolo

Torna al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano RI-SCATTI, mostra fotografica che quest’anno accende i riflettori sulle persone transgender. Con un’offerta per gli scatti in mostra si potrà contribuire a sostenere l’operato dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e dello Sportello Trans di ALA Milano Onlus. Al PAC fino al 5 novembre. 

Ci sono i desideri ma anche le frustrazioni, c’è la forza e insieme l’insicurezza, le gioie e i grandi dolori. C’è tutto questo nella nuova mostra ideata e organizzata dal Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da Ri-scatti ODV e promossa dal Comune di Milano con il sostegno di Tod’s. L’esposizione, curata dal conservatore del Pac Diego Sileo, riunisce trecentoventiquattro scatti, immagini più poetiche ed evocative, altre invece molto esplicite, altre ancora che ricordano il reportage. Tutte però estremamente personali perché ad emergere sono le difficoltà ma anche la forza dei suoi protagonisti.

Sedici persone fra transgender e non-binary, di età compresa fra i 20 e i 65 anni, che attraverso immagini potenti raccontano l’universo dei percorsi di affermazione. Fotografie realizzate grazie a tre mesi di corso con fotografi professionisti, volontari di Ri-scatti, l’associazione che dal 2014 realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia e che ancora una volta, per il nono anno, punta i riflettori sulle fragilità derivanti dalle discriminazioni sociali.

Chiamami col mio nome, mostra fotografica di e con persone trangender

Titolo dell’edizione di quest’anno,  in collaborazione con l’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere e lo Sportello Trans di ALA Milano Onlus, è ‘Chiamami col mio nome’, con quel nome che dà quel riconoscimento sociale che finora è mancato. Fotografie per amplificare una voce strappata da quella brama di classificazione, quell’esigenza di dare necessariamente un nome a qualcosa che non può e non deve essere etichettato. Perché trans è un’etichetta che nasconde mille identità.

Storie vere frutto di libera espressione. Fotografie come un libro aperto che chiede di essere letto perché solo attraverso la conoscenza diventa possibile la comprensione.

Nei tre mesi di laboratorio fotografico, tramite i suoi volontari”, spiega Stefano Corso, Presidente Ri-scatti ODV , “Ri-scatti ha cercato di fornire strumenti tecnici e narrativi a 16 persone transgender per poter raccontare la propria storia personale. Ognuna di loro ha trasformato in immagini le difficoltà della transizione, le proprie gioie nei risultati ottenuti e la sofferenza nel raggiungerli, con chiavi di lettura sempre uniche che spaziano dalla poesia al simbolismo, passando per l’ironia e per manifestazioni esplicite della propria personalità fino alla provocazione. In un esercizio artistico e narrativo per mostrarsi al mondo esterno, raccontandosi prima a sé stessi e poi all’esterno, verso quel diritto al riconoscersi e a farsi riconoscere per ciò che si è realmente”.

Credo che l’identità nasca in un luogo dove non esistono parole, dove non si può spiegare tutto, dove, di fatto, non è necessario spiegare nulla”, afferma Diego Sileo, Conservatore PAC Milano e curatore della mostra. “Succede che una persona cresce e si rende conto che, nonostante appartenga alla stessa specie di tutta quella gente che c’è lì fuori, possono esistere differenze inconciliabili tra una persona e l’altra, e la cosa peggiore di tutte è che possono esserci differenze emarginate, represse, perseguitate, stigmatizzate. Viviamo in una società in cui l’identità è segnata da questo tipo di proscrizione, per questo nasce la necessità di parlarne, di spiegarla e addirittura si genera un impegno “esibizionista” di risposta al tentativo della maggioranza di occultare o relegare a un piano patologico una differenza che infrange le frontiere della norma. Perché quindi raccontarla attraverso l’arte della fotografia? Per amplificare una voce che le è stata strappata dalle convenzioni che poco o niente hanno a che vedere con l’ambito sessuale. Quando la società ti mette un’etichetta non ti chiede il permesso per farlo, risponde alla nota necessità di dare un nome a tutto, alla brama di classificazione

È la prima volta nella storia del nostro Paese che un museo civico decide di ospitare una mostra all’interno della quale le persone trans sono protagoniste e non oggetto della lente di una storia scritta da qualcun altro”, afferma Guglielmo Giannotta, Presidente ACET. “Ogni partecipante ha sviluppato il suo personale progetto ma, sarà evidente appena varcherete l’ingresso della mostra, il fil rouge è il corpo; un corpo politico, che non chiede di essere accettato o convertito, bensì ascoltato e riconosciuto nella sua libertà di autodeterminarsi in quanto tale. “Il corpo è mio e decido io”: nella varietà delle storie, questa è sicuramente la chiave di volta del prodotto della narrazione collettiva della mostra. Ed è proprio per questa chiave che abbiamo deciso, dal principio, di aderire al progetto. Noi ci occupiamo di politica, cultura ed etica e l’arte è il perfetto contenitore delle varie sfaccettature che ci contraddistinguono come associazione. Devo dire, a progetto concluso, che ə ragazzə di ACET che hanno partecipato non solo hanno saputo davvero rendere l’arte politica ma soprattutto che, attraverso le loro immagini, sono riuscitə a raccontare le istanze di un movimento, che vede le persone trans nell’ottica dell’empowerment e non del pietismo, decostruendo una narrazione sbagliata che da fin troppi anni grava su di noi. Raccontare così tanto in uno scatto è estremamente difficile, loro ci sono riuscitə.”

Ancora oggi, in alcuni contesti, le persone transgender vengono viste come persone ai margini della società civile, spiega Antonia Monopoli, Responsabile Sportello Trans ALA Milano Onlus. Questo progetto mette il luce tutte quelle persone transgender che non sono visibili per tanti motivi, attraverso comportamenti quotidiani. Inoltre il progetto non fa altro che scardinare lo stigma che le persone transgender vivono quotidianamente. Noi come Ala Milano e come Sportello Trans, nello specifico, abbiamo partecipato volentieri al progetto per contribuire a far cambiare quell’idea fortemente negativa delle persone cisgender eternormative nei confronti delle persone transgender. Penso che la mostra sia veramente meravigliosa, perché attraverso le foto di ogni persona che ha partecipato sembra di camminare al loro fianco, nel loro mondo, con i loro pensieri, con le loro sofferenze ma anche con il forte desiderio di essere se stessi.”

La mostra e gli eventi collaterali

La mostra è a ingresso gratuito e rimarrà aperta fino al 5 novembre. Le foto e il catalogo sono inceve in vendita e l’intero ricavato sarà devoluto a sostegno dell’operato dell’Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere (ACET) e dello Sportello Trans di ALA Milano Onlus.

Non solo mostra. Completano l’esposizione alcuni appuntamenti collaterali, come quello di giovedì 19 ottobre, dove sempre al PAC verrà presentato il libro “INDIETRO NON SI TORNA. Il lungo cammino dei diritti civili delle persone LGBT+ in Italia. Una storia personale, una battaglia politica” di Monica Romano, alla presenza dell’autrice e di Alessandro Zan, che ha scritto la prefazione. Evento è a ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Oppure quello che sabato 28 ottobre, dalle ore 22 alle 3, vedrà l’incontro tra arte, fotografia e musica elettronica con Le Cannibale, djset e live di tre artiste transgender: in consolle la dj tedesca Bashkka, presenza costante al Berghain e dj resident del Blitz Club di Monaco; al suo fianco Ubi Broki, artista che rappresenta da oltre un decennio la scena queer e LGBTQ+ milanese, e il live set del progetto trasversale tra le arti performative e contemporanee Dafne. Il biglietto per partecipare alla serata al PAC costa 18 euro.

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