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Svolta animalista alla London Fashion Week: no pellicce in passerella

Spettacolo

Maria Teresa Squillaci

Getty Images

La decisione è stata presa dal British Fashion Council, d’accordo con gli stilisti britannici, e riflette un cambiamento culturale sia dei brand che dei consumatori. Ma mettere al bando pelli e visoni per l'industria fashion è una vera rivoluzione

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È di moda la sfilata Fur Free. Lo dimostra il fatto che quest’anno sulle passerelle della London Fashion Week non vedremo nessun tipo di pelliccia animale. La decisione è stata presa dal British Fashion Council, d’accordo con gli stilisti britannici, e riflette un cambiamento culturale sia dei brand che dei consumatori. Basti pensare che negli ultimi anni le proteste degli animalisti in occasione delle settimane della moda si sono moltiplicate passando, secondo quanto riporta il Guardian, da 25 nel 2016 a oltre 250 nel settembre di un anno fa. All’industria della moda si chiede di essere sempre più etica e sostenibile, e mettere al bando pelli e pellicce è un modo per incoraggiare le maison a cambiare.  

Gli inglesi hanno dato a questa tendenza anche un nome tecnico: “Positive fashion” ossia la “moda positiva” che celebra le migliori pratiche di creazione degli abiti. E un risultato c’è già stato: il marchio britannico Burberry ha deciso non solo di non produrre più indumenti realizzati con derivati animali ma anche di smettere di bruciare i capi invenduti.

La svolta animalista della London Fashion Week arriva qualche mese dopo quella di Donatella Versace che a marzo, in un’intervista al magazine 1843, aveva annunciato l’addio alle pellicce da parte del marchio dichiarando: “Non voglio uccidere animali per fare moda”.

Oggi l’elenco dei brand “Fur Free” è lungo e comprende Gucci, Jimmy Choo, Michael Kors, Armani, Hugo Boss, Stella McCartney, Furla, Givenchy, Elisabetta Franchi, Yoox Net-a-Porter, ma mettere al bando le pellicce per l’industria fashion è una vera rivoluzione.

Si tratta infatti di un capo che fin dai tempi lontani rappresenta il potere e lo status. Da Carlo Magno in poi, ermellino, vaio e volpe sono usati come bordatura o fodera per mantelli aristocratici e corone regali, a differenza delle pelli comuni utilizzate dal popolo. A dare vita alla pellicceria moderna alla fine dell’Ottocento è stato il parigino Révillon che confezionava le pelli seguendo cartamodelli copiati dai grandi sarti della Haute Couture (sempre a lui si deve l’introduzione delle pellicce di foca). Nasce così un lussuoso capo spalla con il pelo all’esterno adattato al corpo, rifinito nei dettagli e declinato in mille modelli destinati alle élite. Da qui in avanti, entra definitivamente nella moda, interprete di eleganza e status symbol femminile.  Lo era al punto che quando  i magazzini Saks Fifth Avenue a New York ospitavano i negozi Revillon, alcuni clienti venivano a comprare una pelliccia il 15 dicembre per riportarla dopo Natale approfittando della possibilità di restituire la merce entro 30 giorni.

Il cinema poi ci ha lasciato figure di splendide donne sensuali che indossavano (o si toglievano) le più costose pellicce che le grandi firme della moda facevano a gara per creare. Da Brigitte Bardot, ora paladina del benessere animale, a Marilyn Monroe.

Gli Anni ’60 sono un momento di svolta, da una parte perché nasce la collaborazione tra Fendi e lo stilista Karl Lagerfeld che rivoluziona la pelliccia rendendola un capo versatile e facile da indossare, dall’altra è proprio in questo periodo che si diffonde la coscienza dei maltrattamenti subiti dagli animali e nascono le prima alternative sintetiche (che comunque hanno una base chimica quindi comportano danni per l’ambiente). Per avere un’idea, solo nel decennio che va dal 1960 al 1970 si stima che, ogni anno, venissero uccisi 30 milioni di animali selvatici esclusivamente per le loro pelli.

Oggi le pellicce sono ancora presenti nella maggior parte delle collezioni invernali e quest’anno sono tagliate come fossero dei giacconi o con la silhouette da cappotto, colorate in tinte fluo o pastello ma tutte rigorosamente sintetiche. E se ancora non è una rivoluzione 100% eco, la Moda Positiva va nella giusta direzione.