Noi non siamo come James Bond e Shell sono stati premiati come migliori pellicole ex aequo dalla giuria presieduta da Paolo Sorrentino all'ultima edizione della rassegna cinematografica italiana
A vincere in questa trentesima edizione del Torino Film Festival, che si è chiuso sabato 1 dicembre, è stata la malinconia e la solitudine di due film apparentemente lontani come lo scozzese Shell di Scott Graham, miglior film ex aequo con l'italianissimo film-documentario Noi non siamo come James Bond di Mario Balsamo.
Insomma la giuria presieduta da Paolo Sorrentino e composta da Karl Baumgartner (Germania), Franco Piersanti, Constantin Popescu (Romania), Joana Preiss (Francia) ha privilegiato le note grigie di due storie piene di dolore e riscatto.
In Shell, atmosfere minimaliste e lunghe attese ad una stazione di servizio di benzina, gestita da padre e figlia. Lei si chiama Shell (Chloe Pirrie) e lui, amatissimo e giovane padre con crisi epilettiche, Pete (Joseph Mawle). Insieme vivono in un posto remoto delle Highlands scozzesi tra pochi incontri (in genere quelli dei soli clienti), molti silenzi e la voglia di entrambi di fuggire. Shell e Pete fanno famiglia dopo che la madre di Shell li ha abbandonati da molto tempo. Per la ragazza sembra che quella solitudine non sia poi così dolorosa, ma in realtà sarà l'ultimo inverno che passerà tra quelle piovose montagne.
Una storia molta bella di amicizia, vita, malattia, futuro e poesia è quella invece raccontata da Mario Balsamo e Guido Gabrielli in Noi non siamo come James Bond.
Un film che lascia l'amaro in bocca, ma poi redime con la storia vera di questi due ultra-cinquantenni che scoprono di non essere mai stati dei James Bond anzi, si sono ammalati di tumore, si sono poi risanati, ma non hanno ancora rinunciato a sognare. Era il 1985 quando i due, il primo regista e il secondo editore, decisero di fare il loro primo viaggio assieme.
Da allora è passato tanto tempo, ma ora provati dalla vita decidono di affrontare una nuova avventura e partire per un viaggio filmato sulla loro amicizia, sul senso dell'esistenza, sulla malattia.
Insomma i due amici, come si vede appunto nel documentario, si fanno riprendere mentre vanno dal medico per i controlli, mentre litigano, mentre parlano di come è cambiata la loro vita dopo la malattia. Tornano poi sui luoghi dell'infanzia, la spiaggia di Sabaudia; a Perugia dove improvvisano un concerto in strada e poi a Milano e Roma le citta' attuali dell'uno e dell'altro. Vestiti in smoking, come una sorta di blues brothers stagionati e a bordo di una Mini Minor anni Sessanta, i due hanno solo una vera ossessione: quella di chiamare Sean Connery.
Dopo aver ricevuto qualche consiglio dalla prima Bond Girl italiana, la fascinosa Daniela Bianchi, Guido e Mario prendono il telefono e cercano più volte Sean per spiegare le loro ragioni e confrontarsi. E all'alba di un giorno d'estate, a bordo di una mini tenda canadese del 1985, dall'altro capo del filo arriva la risposta di Sir Connery che, rivelando una natura altrettanto umana, dice "mi spiace, non posso stare al telefono sto facendo dei controlli medici...".
Insomma la giuria presieduta da Paolo Sorrentino e composta da Karl Baumgartner (Germania), Franco Piersanti, Constantin Popescu (Romania), Joana Preiss (Francia) ha privilegiato le note grigie di due storie piene di dolore e riscatto.
In Shell, atmosfere minimaliste e lunghe attese ad una stazione di servizio di benzina, gestita da padre e figlia. Lei si chiama Shell (Chloe Pirrie) e lui, amatissimo e giovane padre con crisi epilettiche, Pete (Joseph Mawle). Insieme vivono in un posto remoto delle Highlands scozzesi tra pochi incontri (in genere quelli dei soli clienti), molti silenzi e la voglia di entrambi di fuggire. Shell e Pete fanno famiglia dopo che la madre di Shell li ha abbandonati da molto tempo. Per la ragazza sembra che quella solitudine non sia poi così dolorosa, ma in realtà sarà l'ultimo inverno che passerà tra quelle piovose montagne.
Una storia molta bella di amicizia, vita, malattia, futuro e poesia è quella invece raccontata da Mario Balsamo e Guido Gabrielli in Noi non siamo come James Bond.
Un film che lascia l'amaro in bocca, ma poi redime con la storia vera di questi due ultra-cinquantenni che scoprono di non essere mai stati dei James Bond anzi, si sono ammalati di tumore, si sono poi risanati, ma non hanno ancora rinunciato a sognare. Era il 1985 quando i due, il primo regista e il secondo editore, decisero di fare il loro primo viaggio assieme.
Da allora è passato tanto tempo, ma ora provati dalla vita decidono di affrontare una nuova avventura e partire per un viaggio filmato sulla loro amicizia, sul senso dell'esistenza, sulla malattia.
Insomma i due amici, come si vede appunto nel documentario, si fanno riprendere mentre vanno dal medico per i controlli, mentre litigano, mentre parlano di come è cambiata la loro vita dopo la malattia. Tornano poi sui luoghi dell'infanzia, la spiaggia di Sabaudia; a Perugia dove improvvisano un concerto in strada e poi a Milano e Roma le citta' attuali dell'uno e dell'altro. Vestiti in smoking, come una sorta di blues brothers stagionati e a bordo di una Mini Minor anni Sessanta, i due hanno solo una vera ossessione: quella di chiamare Sean Connery.
Dopo aver ricevuto qualche consiglio dalla prima Bond Girl italiana, la fascinosa Daniela Bianchi, Guido e Mario prendono il telefono e cercano più volte Sean per spiegare le loro ragioni e confrontarsi. E all'alba di un giorno d'estate, a bordo di una mini tenda canadese del 1985, dall'altro capo del filo arriva la risposta di Sir Connery che, rivelando una natura altrettanto umana, dice "mi spiace, non posso stare al telefono sto facendo dei controlli medici...".