Jaron Lanier e le nostre vite ridotte a gadget
SpettacoloFa discutere l'ultimo libro di Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale: "You Are Not a Gadget. A Manifesto". L'autore si scaglia contro il web 2.0, accusandolo di impoverire la nostra cultura e di ridurre la nostra vita a gadget
di Nicola Bruno
Nessuno l'ha ancora letto (esce in questi giorni nelle librerie statunitensi), ma fa già discutere. Anche in Italia. "You Are Not A Gadget. A Manifesto" ( - qui un'anteprima) è l'ultimo saggio di Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale ed ex-giornalista di Wired. Geek prodigio, a 14 anni Lanier era già iscritto all'Università per poi diventare una delle personalità più in vista tra i teorici di Internet, con le sue idee di "guanto interattivo" e "teletrasporto virtuale". Senza mai perdere, però, un sano approccio critico nei confronti dell’evoluzione di internet, che costituisce ora il cuore del suo ultimo libro. "Al volgere del nuovo secolo, con l'ascesa del cosiddetto 'Web 2.0', è iniziato il deterioramento della rete - spiega Lanier in questa intervista pubblicata su Amazon - Stanno scomparendo i giornali, i musicisti e gli scrittori soffrono. Quando in futuro arriveranno i robot a riparare le strade, gli operai saranno costretti a lavorare gratis, così come oggi fanno i musicisti?". Lanier non prende di mira solo il mantra del "tutto-gratis", ma anche le conseguenze culturali del web 2.0 (Twitter, Facebook, Google). Cosa ne è delle nostre vite ridotte a un algoritmo? Un gruppo di utenti è davvero più intelligente di un individuo, come sostengono i supporter di Wikipedia e dei blog? No, dice Lanier, soprattutto se questa folla di utenti è anonima e non si assume le responsabilità delle proprie azioni: "I collettivi hanno il potere di distorcere la storia e di danneggiare il punti di vista delle minoranze. Solo un intellettuale non convenzionale può spaccare in due il non-senso delle folle".
Posizioni forti, che hanno scatenato un fiume di reazioni risentite online. Wired l'ha subito preso in giro scrivendo: "Lanier vede tutti i suoi amici trasformarsi in contadini". Anche Slate gli ha dato del "nostalgico snob" che ricicla "idee precotte". Il dibattito è stato rilanciato in Italia da Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, che parte proprio dalle analisi di Lanier per sottolineare che : "La rete è e resterà il nostro futuro. I nostri figli ragioneranno sulla rete. Dunque non dobbiamo permettere ai teppisti di inquinarla con le loro farneticazioni e garantirne l'informazione, la cultura e l'eccellenza contro l'omogeneizzazione e il qualunquismo". E' ancora più tranchant il critico Roberto Cotroneo che su L'Unità scrive : "Il web 2.0 negli ultimi anni non ha fatto altro che esaltare l'anonimato, l'insulto e la disinformazione. Con buona pace di chi sulla disinformazione ci campa da anni. (...) Ma ora è il momento di fermarsi, e cominciare a guardare oltre uno schermo". La tentazione di ristabilire vecchie gerarchie (esperti vs. cittadini) non piace però ad altri osservatori del web. Vittorio Zambardino, giornalista di Repubblica.it, ricorda a Riotta che è proprio tra i cosiddetti esperti che continua ad esserci una scarsa cultura di rete: "Una cosa è la critica di Lanier, che matura nel cuore della cultura digitale della Silicon Valley, un altro conto quella del giornalismo italiano. Che di fronte alla rete ha reagito né più né meno come i maestri scriba che provarono a bruciare Gutenberg a Parigi". E lo stesso vale per i tentativi di togliere l'anonimato dalla rete: "Non ci sarebbe niente di male, se non producesse come risultato l’ennesimo contributo alla normalizzazione della rete. Alla sua riduzione a uno spazio normato dai poteri intellettuali ed economici tradizionali, a 'walled garden' delle telecom, in ogni momento controllabile".
La discussione ha preso piede anche tra gli utenti italiani di Friendfeed: "Se il numero di utenti tende sempre più a essere uguale al numero di abitanti del mondo, è normale che il web diventi lo specchio della cultura offline", sottolinea la blogger Dania, senza risparmiare una stoccata ai vari Lanier, Riotta e Cotroneo. "I brillanti e visionari pionieri non dovrebbero 'sbroccare' al primo sbarco della massa. Al contrario, dovrebbero conservare le nicchie di qualità nelle quali far crescere la libertà di espressione a cui anelavano. Invece, appena arriva la massa, l'élite fugge, vanificando con un terribile autogol tutta la fatica spesa a educarci ad essere bravi cittadini virtuali".
Nessuno l'ha ancora letto (esce in questi giorni nelle librerie statunitensi), ma fa già discutere. Anche in Italia. "You Are Not A Gadget. A Manifesto" ( - qui un'anteprima) è l'ultimo saggio di Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale ed ex-giornalista di Wired. Geek prodigio, a 14 anni Lanier era già iscritto all'Università per poi diventare una delle personalità più in vista tra i teorici di Internet, con le sue idee di "guanto interattivo" e "teletrasporto virtuale". Senza mai perdere, però, un sano approccio critico nei confronti dell’evoluzione di internet, che costituisce ora il cuore del suo ultimo libro. "Al volgere del nuovo secolo, con l'ascesa del cosiddetto 'Web 2.0', è iniziato il deterioramento della rete - spiega Lanier in questa intervista pubblicata su Amazon - Stanno scomparendo i giornali, i musicisti e gli scrittori soffrono. Quando in futuro arriveranno i robot a riparare le strade, gli operai saranno costretti a lavorare gratis, così come oggi fanno i musicisti?". Lanier non prende di mira solo il mantra del "tutto-gratis", ma anche le conseguenze culturali del web 2.0 (Twitter, Facebook, Google). Cosa ne è delle nostre vite ridotte a un algoritmo? Un gruppo di utenti è davvero più intelligente di un individuo, come sostengono i supporter di Wikipedia e dei blog? No, dice Lanier, soprattutto se questa folla di utenti è anonima e non si assume le responsabilità delle proprie azioni: "I collettivi hanno il potere di distorcere la storia e di danneggiare il punti di vista delle minoranze. Solo un intellettuale non convenzionale può spaccare in due il non-senso delle folle".
Posizioni forti, che hanno scatenato un fiume di reazioni risentite online. Wired l'ha subito preso in giro scrivendo: "Lanier vede tutti i suoi amici trasformarsi in contadini". Anche Slate gli ha dato del "nostalgico snob" che ricicla "idee precotte". Il dibattito è stato rilanciato in Italia da Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, che parte proprio dalle analisi di Lanier per sottolineare che : "La rete è e resterà il nostro futuro. I nostri figli ragioneranno sulla rete. Dunque non dobbiamo permettere ai teppisti di inquinarla con le loro farneticazioni e garantirne l'informazione, la cultura e l'eccellenza contro l'omogeneizzazione e il qualunquismo". E' ancora più tranchant il critico Roberto Cotroneo che su L'Unità scrive : "Il web 2.0 negli ultimi anni non ha fatto altro che esaltare l'anonimato, l'insulto e la disinformazione. Con buona pace di chi sulla disinformazione ci campa da anni. (...) Ma ora è il momento di fermarsi, e cominciare a guardare oltre uno schermo". La tentazione di ristabilire vecchie gerarchie (esperti vs. cittadini) non piace però ad altri osservatori del web. Vittorio Zambardino, giornalista di Repubblica.it, ricorda a Riotta che è proprio tra i cosiddetti esperti che continua ad esserci una scarsa cultura di rete: "Una cosa è la critica di Lanier, che matura nel cuore della cultura digitale della Silicon Valley, un altro conto quella del giornalismo italiano. Che di fronte alla rete ha reagito né più né meno come i maestri scriba che provarono a bruciare Gutenberg a Parigi". E lo stesso vale per i tentativi di togliere l'anonimato dalla rete: "Non ci sarebbe niente di male, se non producesse come risultato l’ennesimo contributo alla normalizzazione della rete. Alla sua riduzione a uno spazio normato dai poteri intellettuali ed economici tradizionali, a 'walled garden' delle telecom, in ogni momento controllabile".
La discussione ha preso piede anche tra gli utenti italiani di Friendfeed: "Se il numero di utenti tende sempre più a essere uguale al numero di abitanti del mondo, è normale che il web diventi lo specchio della cultura offline", sottolinea la blogger Dania, senza risparmiare una stoccata ai vari Lanier, Riotta e Cotroneo. "I brillanti e visionari pionieri non dovrebbero 'sbroccare' al primo sbarco della massa. Al contrario, dovrebbero conservare le nicchie di qualità nelle quali far crescere la libertà di espressione a cui anelavano. Invece, appena arriva la massa, l'élite fugge, vanificando con un terribile autogol tutta la fatica spesa a educarci ad essere bravi cittadini virtuali".