Alla ricerca del pesto spaziale

“Devo scoprire come coltivare del cibo per quattro anni su un pianeta in cui non cresce nulla...”. Così scriveva nel suo diario l’astronauta Mark Watney, alias Matt Damon, impegnato a salvarsi la vita sul Pianeta Rosso coltivando patate nel film Sopravvissuto – The Martian. Un successo di pubblico e critica, definito dalla rivista Variety "una affascinante e rigorosamente realistica storia di sopravvivenza nello spazio". Chissà se Franco Malerba pensa anche lui a quel film mentre ci descrive il prototipo della serra verticale multipiano adattiva sviluppata dalla start-up italiana Space V di cui è il fondatore “dove V sta per Vegetables” ci tiene a precisare. “Sulla Luna saremo a una distanza mille volte più grande di una stazione orbitante – spiega a Sky Tg24 Insider - e diventa molto costoso e anche difficile logisticamente rifornire di cibo da terra gli equipaggi, quindi bisogna crescere gradualmente in autonomia. Per farlo, bisogna diventare anche agricoltori e vegetariani, cominciando dal coltivare piante nello spazio. La proposta che sto portando avanti con gli altri colleghi di questa start-up, nata nel 2021 tra Genova e Torino, è una serra che ha la caratteristica di adattare la posizione dei ripiani di coltivazione alla crescita delle piante. In pratica, invece di adattare le piante alla serra adattiamo la serra alle piante e così facendo utilizziamo al massimo il volume disponibile, riducendo il consumo energetico e di acqua”. Lei come ha mangiato quando è andato nello spazio? “Sono stato in orbita per otto giorni nell’estate del 1992 con la missione STS-46, quella con il satellite a guinzaglio, volando con lo shuttle Atlantis, un pezzo di storia ancora visibile al Centro visitatori del Kennedy Space Centre della Nasa, a Cape Canaveral in Florida. A bordo il cibo era tutto preconfezionato, disidratato e andava poi ricostruito aggiungendo dell’acqua. Una volta ho simulato questa operazione in una trasmissione televisiva con Pippo Baudo. Una spettatrice, invitata a sperimentare il mio cibo spaziale, alla fine disse: “Ingegner Malerba, io avevo già una grande ammirazione per lei, ma dopo aver assaggiato i suoi broccoletti ne ho ancora di più!”. Quale sarebbe secondo lei il menù da mettere a punto sulla Luna? “Sicuramente un menù piuttosto vegetariano perché lassù certo non possiamo pensare di portarci dietro delle galline! Ci saranno sì rifornimenti da terra, ma saranno costosi e quindi dovremo per quanto sarà possibile renderci indipendenti. C’è una comunità di ricercatori in ambito biotecnologico che sta pensando a delle colture, ivi compresi prodotti fondamentali come fagioli e patate. Noi per il momento con questa serra pensiamo soprattutto alle insalate, che sono portatrici di vitamine fondamentali, ai cosiddetti micro ortaggi oggi usati anche dagli chef per insaporire certe pietanze; quindi, è soprattutto la nutraceutica che ci viene in aiuto per selezionare le piante ideali per gli astronauti destinati a vivere in questo ambiente estremo”. La sostenibilità diventa un imperativo sulla Luna? “Sì, perché dovremo imparare a riciclare tutto quello che possiamo, e per questo stiamo anche studiando l’utilizzo di microalghe in un bioreattore che riciclano i rifiuti biologici per farli diventare substrato fertile per le coltivazioni. Tutto questo potrà darci anche delle lezioni su come comportarci sulla Terra, trasferendo qui queste tecnologie dopo averle sperimentate in un ambiente così estremo come lo spazio”. A che punto siete nello sviluppo del vostro progetto di serra? “Al momento stiamo facendo soprattutto ricerca perché prima di arrivare alla garanzia che il cibo coltivato nello spazio sia edibile e sicuro per gli astronauti c’è un periodo di test e adattamento dove è la comunità scientifica che è chiamata a fare la sperimentazione. Guardando alle prossime missioni del programma Artemis per il ritorno sulla luna da qui a fine decade, direi che abbiamo questa finestra di tempo per mettere a punto il servizio ultimo. Certo stiamo pensando anche alle nuove Stazioni commerciali, ma il nostro primo obiettivo resta al momento la Stazione Spaziale internazionale. Abbiamo un piccolo contratto con l’Agenzia Spaziale Italiana per lo studio di fattibilità su questa serra spaziale che sta partendo e che ci porterà a sviluppare l’oggetto fisico da far volare”. Ci descrive le caratteristiche principali di questa serra? “Quello che è speciale di questa serra è il fatto di avere dei ripiani che si adattano alla crescita delle piante, che hanno una loro evoluzione. Quando sono appena seminate hanno bisogno di poca illuminazione e di poco volume, mentre via via che crescono hanno bisogno di più alimentazione, di più energia e di più spazio. Una serra a ripiani fissi inevitabilmente sprecherebbe del volume anche quando le piante sono molto piccole. Questa invece si adatta alla loro crescita e utilizza tutto il volume disponibile; il risultato finale è che si raddoppia la resa, e quindi la produzione, rispetto a una serra a ripiani fissi. Inoltre, si deve condizionare soltanto l’ambiente davvero utile alla crescita delle piante e non quello della dimensione totale della serra, e in un habitat così difficile come quello lunare, ma anche nelle stazioni spaziali orbitanti, il fatto di risparmiare energia, di risparmiare nutrienti, di risparmiare acqua è di un’importanza capitale”. Mentre descrive il prototipo nel dettaglio, mettendo a frutto tutta la sua esperienza di astronauta, quasi ce lo immaginiamo fluttuare nello spazio attorno alla sua serra: “Le dimensioni sono quelle di un armadio della Stazione Spaziale Internazionale, l’abbiamo progettata apposta così perché le prime realizzazioni saranno proprio per la ISS e per le stazioni commerciali che la sostituiranno nei prossimi anni. Ci sono tre ripiani colorati in modo diverso, con dei sistemi di illuminazione che forniscono l’energia per la sintesi delle diverse piante, poi c’è un substrato idroponico per la loro alimentazione, perché in assenza di peso e in condizioni particolari come sono quelle nello spazio non potremo permetterci il terriccio, almeno in una prima fase, poi in futuro chissà. Nell’insieme si tratta di una trovata semplice, ma che ci sembra particolarmente utile in questo contesto dove tutto il volume disponibile è molto prezioso. In teoria si potrebbe fare anche sulla Terra, ma nello Spazio dove, paradosso delle parole, lo spazio è prezioso questa soluzione è preferibile”. Che tipo di piante si potrebbero coltivare all’interno di questa serra spaziale? “Noi, avendo un’origine genovese, amiamo pensare al basilico, una pianta aromatica molto piacevole, che può migliorare anche il menù spaziale, ma la ricerca agronomica e nutraceutica si concentra su quelle piante che contengono molto acido ascorbico, quindi vitamina C che è fondamentale. Lo sappiamo già dai tempi delle esplorazioni per mare dei secoli scorsi, che i naviganti avevano bisogno, come lo avranno gli astronauti, di portarsi dietro delle piante capaci ricostituire questa vitamina preziosa per il corpo. Innanzitutto, quindi, piante di basso fusto, come insalate, rucola, cicoria che sono state già sperimentate con risultati eccellenti in un ambiente estremo e isolato come quello della base Concordia in Antartide. Poi, però, con il passare del tempo e con l’avanzare della sperimentazione, anche patate e pomodori, tutti alimenti freschi che davvero possono migliorano la qualità della vita degli astronauti, molto esposti allo stress del lavoro da compiere, alle condizioni strane nelle quali si ritrovano a vivere, all’isolamento e alla lontananza, oltre che al pericolo delle radiazioni ionizzanti. Soprattutto sulla Luna, fuori dalla zona protetta dell’atmosfera e dal campo magnetico terrestre, saranno esposti a queste radiazioni e al vento solare che è estremamente dannoso e genera moltissimi radicali liberi, che ci fanno invecchiare anche sulla Terra. Per combatterli, le piante rappresentano la soluzione ideale, perché sono non solo una sorgente di alimentazione ma anche una medicina, e così piano piano ricostruiamo nello spazio percorsi di conoscenza e di sperimentazione tipici dell’homo sapiens nella sua evoluzione. Dopo tutto, si tratta di mettere piede su un corpo celeste diverso dalla Terra ed è questo il percorso da intraprendere”.