Il futuro è un satellite, e le sue costellazioni. Parola del ceo di Argotec

Per uno come lui la bellezza è poter contemplare la prima immagine del primo satellite della costellazione Iride: la città di Roma vista dallo spazio. E, a distanza di pochi mesi, seguire il lancio in simultanea di altri sette satelliti targati Iride e realizzati da Argotec, la sua azienda nata come una scommessa nel 2008 e oggi capace di costruire decine di macchine spaziali l’anno in un’ex cartiera trasformata in Space Park alle porte di Torino, una struttura disegnata da Oscar Niemeyer che di notte sembra un’astronave pronta al decollo. Ma in questa storia, come sosteneva il grande progettista brasiliano, “l'architettura è solo un pretesto, importante è la vita, importante è l'uomo”, e l’uomo in questione è David Avino, ceo e founder di Argotec, un paracadutista della Folgore diventato poi addestratore di astronauti che ha cominciato a sognare quello che voleva fare da grande davanti allo spettacolo delle prime sonde dirette su Marte e oggi è uno dei protagonisti dello spazio made in Italy. Sky Tg24 Insider lo ha intervistato. Possiamo dire che i satelliti, soprattutto quelli di piccole dimensioni, rappresentano il futuro? Sono già il presente, perché il mercato è cambiato: prima si facevano satelliti grandi che richiedevano tantissimo tempo per la costruzione e soprattutto c’era una concentrazione di rischio molto alto, perché gli investimenti venivano fatti su uno o due satelliti al massimo. Oggi il mondo è diverso, si parla di costellazioni e i tempi di risposta sono cambiati, quella lentezza che prima era endemica nel mercato aerospaziale ora, costruendo satelliti di piccole dimensioni, cerchiamo di ridurla. Un classico esempio: da quando abbiamo firmato il contratto con l’Agenzia Spaziale Europea per la costellazione Iride, partendo assolutamente da zero in diciotto mesi abbiamo messo in orbita il primo satellite e adesso, a distanza di quattro mesi, ne abbiamo in volo altri sette. Questo a testimonianza del fatto che all’interno dello Space Park da una parte entra l’alluminio e dall’altra esce il satellite fatto e finito, lo mettiamo sul veicolo di lancio, lo controlliamo direttamente dal nostro Mission control center e lo costruiamo praticamente in una settimana, seguendo gli standard americani che richiedono una rapid response, rapid on ramp. Seguendo questo ragionamento, che valore ha il tempo per un imprenditore come lei? Il tempo è fondamentale, significa soprattutto arrivare prima degli altri; perché puoi fare il prodotto migliore, ma se poi arrivi il giorno dopo, la settimana dopo, o il mese dopo rispetto a quello che può essere un tuo competitor, alla fine ti vai a bruciare una bellissima fetta di mercato. Bisogna continuare a prevedere quello che il mercato richiederà e soprattutto anticiparlo. Perché Starlink è stata così esplosiva? Ma semplicemente perché Musk aveva previsto che ci sarebbe stata una richiesta di telecomunicazioni dall’alto e se vogliamo il governo italiano è stato allo stesso modo lungimirante con Iride , perché ha previsto la necessità di una costellazione per l’osservazione della Terra e quindi siamo stati bravi anche noi, però bisogna diventare forse un po’ più bravi e più rapidi a seguire non tanto quelli che sono i trend ma le visioni e i bisogni del mercato, anticipandoli. Se arrivi dopo è finita. Ha citato Musk, che ne pensa di lui come imprenditore e la preoccupano i ritardi dello spazio targato USA e i tagli annunciati al budget della NASA? Elon Musk è stato un visionario che ha portato un cambiamento epocale, forse in un momento in cui c’eravamo troppo seduti su un sistema che lavorava in maniera esclusiva con i governi e con tempistiche che facevano più comodo a quelli che erano i grandi dell’industria spaziale. È arrivato lui ed è stato davvero “disruptive”, ossia un innovatore rispetto a quello che era un modello molto arcaico che non poteva più funzionare perché la direzione è un’altra. I tagli fanno paura perché possono portare alla riduzione di tutta una serie di attività scientifiche che devono essere pagate dai governi e magari si ridurranno anche un certo numero di infrastrutture, ma oggi secondo me il modello è quello che prevede da un lato un contratto con un customer che può essere un governo che richiede delle attività spaziali o dei dati; dall’altro lo stesso contratto lo fai vedere a tutti quelli che possono essere i tuoi investitori privati dicendo: guarda, loro credono in me, perché non lo fai anche tu mettendo dei soldi in un qualcosa che potrebbe coinvolgere non solo un’amministrazione pubblica, ma anche i cittadini o altre aziende? Questo secondo me è il modello che si deve perseguire, che però ha sempre bisogno di un supporto governativo, e tengo a sottolineare che Musk non sarebbe mai diventato con SpaceX quello che è diventato se non avesse avuto degli enormi finanziamenti dal governo americano, ma allo stesso tempo il governo americano, passando attraverso le varie amministrazioni Obama, Trump, Biden e ora di nuovo Trump, è stato molto coraggioso perché ha scelto un’azienda che secondo loro poteva crescere, ed è fondamentale che anche in Europa si osi ogni tanto un po’ di più. Bisogna avere coraggio, perché se lo hai e punti su certe aziende che potrebbero diventare eccellenze, magari quelle aziende ce la fanno. Lo ha detto anche alla premier Giorgia Meloni nella sua recente visita alla nuova sede di Argotec? Giorgia Meloni è rimasta sicuramente molto impressionata dall’atmosfera, dai giovani che lavorano in Argotec, dalla tecnologia che stiamo sviluppando e dal fatto che siamo cento per cento italiani. Esistono poche realtà come la nostra, siamo forse gli unici che hanno fatto volare satelliti nello spazio e poche notti fa hanno stabilito il record italiano ed europeo di una costellazione di satelliti tutti lanciati sullo stesso veicolo, ben sette. Con la Presidente del Consiglio abbiamo parlato di futuro e di quanto sia importante continuare ad investire in Italia su questo tipo di tecnologie, perché i domini spazio e cyber sono molto trasversali, penetrano nella vita quotidiana e diventano fondamentali per la sicurezza del nostro Paese. Ha iniziato come startupper negli Stati Uniti. Che esperienza è stata? È stato incredibile, perché ero partito praticamente da zero. Mentre facevo coding come software engineer avevo intravisto un’esigenza di telemetria ambientale all’interno della stazione spaziale, qualcosa per monitorare le condizioni degli astronauti, e doveva essere un sistema molto veloce e rapido, perché mi ero accorto che quelli utilizzati erano un po’ arcaici, serviva tutta una serie di grafici e di paragoni fra i vari dati; quindi, partendo da un’esperienza sul campo e da qualcosa di cui c’era necessità ho cominciato a sviluppare nel mio tempo libero, lavorando di fine settimana, questo strumento. La cosa incedibile poi è stato aver incontrato un americano di grande esperienza e assieme a lui essere riuscito nel giro o di pochi mesi a mettere su una startup. Grazie alla sua profonda conoscenza del mondo NASA ho potuto vedere il mio lavoro fatto di notte che veniva utilizzato dall’Agenzia spaziale americana e poi vederlo rivenduto ad alcuni centri di controllo in Europa. Lì ho imparato che bisogna osare, all’epoca non avevo neanche trent’ anni, perché se riesci a rincorrere i tuoi sogni prima o poi si realizzano e non bisogna mai mollare: di fronte a delle voragini e dei burroni ho sempre cercato di costruire ponti e abbattere le barriere. Lei è un cervello di ritorno, qual è la filosofia di Argotec nella scelta delle persone che poi lavorano con voi? Io sono ritornato perché avevo studiato in Italia, avevo qui la mia famiglia, ero sicuramente legato al mio territorio, quella dell’estero è stata una bella opportunità ma non ho mai dimenticato tutto ciò che il mio Paese mi aveva dato. Andando in giro nei vari laboratori e nelle università americane trovo sempre tantissimi italiani, siamo molto apprezzati all’estero, ma dobbiamo ricordarci che anche il nostro è un grande Paese che forma ottimi ingegneri e professionisti. In Argotec cerchiamo sempre di spingere, di far sì che le persone possano ritornare e anche il governo ci aiuta con una legge per il rientro dei cervelli che secondo me è fondamentale per dare opportunità sempre maggiori. Qualche mese fa ha ricevuto il premio Luigi Broglio, dedicato a un grande italiano, pioniere del settore spaziale. Cosa significa oggi portare avanti la sua eredità? Sicuramente è una bella eredità e non pensavo di meritare un premio così importante, il primo che arriva alla mia carriera e non alla mia azienda. Sono davvero molto felice, anche se tendo a non celebrare mai e non mi fermo perché chi lo fa probabilmente si siede sugli allori e a me piace sempre guardare oltre. Questo premio è sicuramente uno stimolo a fare meglio e a costruire qualcosa di ancora più stabile per il futuro della mia azienda, del nostro Paese e delle persone che lavorano in Argotec. Lei ha detto: sono nato in divisa e non ho mai pensato di fare l’astronauta, ma nello spazio, potendo, ci andrebbe? Sì assolutamente, ma non per sei mesi a bordo della Stazione spaziale internazionale, perché da militare sono stato in missione e avendo addestrato astronauti conosco benissimo le difficoltà e i bisogni che hanno vivendo in luoghi così confinati; però una settimana, dieci giorni in orbita li farei davvero molto volentieri e sarebbe forse il coronamento della mia carriera nello spazio.

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