“Lo spazio mi ha cambiata per sempre, in valigia metto il mio portafortuna"

Parla Peggy Whitson, l’astronauta dei record. Classe 1960, statunitense, ha trascorso già 675 giorni nello spazio, è stata 2 volte comandante della stazione Internazionale, ha compiuto 10 attività extraveicolari e vanta 30 anni di onorata carriera alla Nasa. Oggi lavora per l’azienda privata Axiom Space come direttrice del Volo spaziale umano ed è pronta a tornare in orbita per la quinta volta a fine maggio con la missione Ax-4. Sarà il Comandante di un equipaggio composto da tre astronauti alla loro prima esperienza: Shubhanshu Shukla, ławosz Uznański e Tibor Kapu, un indiano, un polacco e un ungherese, in rappresentanza di tre Stati che sono stati nello spazio una sola volta. “Questi Paesi “spiega a Sky Tg24 Insider il Comandante Whitson “sono andati nello spazio più di quarant’anni fa e ora noi gli diamo l’opportunità non solo di tornare in orbita, ma di stare a bordo della Stazione spaziale internazionale, dove potremo condurre esperimenti scientifici e fare ricerca per quattordici giorni. Per loro è molto importante, sia per avanzare da un punto di vista tecnologico sia per stimolare un’intera generazione di giovani a interessarsi a questo tipo di ricerche legate alle attività spaziali”. Come sta cambiando l’accesso allo spazio con missioni come Ax-4? L’accesso allo spazio sta cambiando molto in questo ultimo periodo, come possiamo vedere ci sono tutta una serie di soggetti commerciali coinvolti in maniera molto diversa. L’obiettivo di Axiom Space è quello di usare missioni tipo Ax-4 come precursori per rendere possibile un nuovo modo di accedere allo spazio, rendendolo accessibile a persone e Paesi che in passato non ci sono magari mai stati, aumentando le loro capacità di fare esperimenti e mettendoli in grado di compiere attività educative che in passato non era possibile fare perché la Stazione spaziale era accessibile a un numero limitato di partner internazionali con accordi che non prevedevano estensioni; quindi siamo molto contenti come Axiom Space di far parte di questa espansione; ma quello che è davvero importante è fare da apripista alla Stazione spaziale targata Axiom Space, questo è ciò che conta davvero per noi e al momento stiamo cercando di stabilire le procedure operative che saranno preziose quando cominceremo ad operare con la nostra stazione da qui ai prossimi anni. E io personalmente non vedo l’ora che ciò si avveri perché vengo da anni di ricerche svolte a bordo della ISS e sono molto stimolata dall’idea di operare questa transizione e andare verso la produzione di prodotti e manufatti che poi possano essere utilizzati qui sulla Terra. Dunque, si tratta di un periodo molto emozionante per lo spazio, ci sono così tanti cambiamenti che stanno avvenendo in tanti settori dell’industria ed io ne sono entusiasta! Axiom Space sta sviluppando le tute per la missione Artemis III, che riporterà un equipaggio sulla superficie della Luna. A che punto siete? Vero, con i nostri tecnici stiamo lavorando alla struttura delle tute, con lo scopo di renderle più fruibili e facili da usare per gli equipaggi. Una delle questioni principali per quanto riguarda le tute spaziali è che lavori contro la pressione e questo è complesso, come si adatta una tuta e la sua taglia sono fattori estremamente importanti. Noi stiamo lavorando su queste parti per facilitare le attività extraveicolari e le innovazioni su cui si sta concentrando la squadra per rendere le tute più leggere saranno molto importanti per le future missioni lunari, soprattutto perché sul nostro satellite c’è un sesto della gravità terrestre mentre sul nostro Pianeta le tute sono estremamente pesanti e stiamo provando ad alleggerirle quanto più possibile, così da rendere i futuri esploratori della superficie della Luna in grado di raccogliere più dati e di muoversi in maniera più agile. Dopo tutto il tempo passato in orbita, 675 giorni a oggi, con all’attivo quattro missioni a bordo della ISS; che posto è per lei la Stazione spaziale internazionale? La Stazione spaziale internazionale è un incredibile laboratorio, una risorsa per gli Stati Uniti, e nei suoi 25 anni di esistenza la qualità e il calibro della scienza fatta a bordo è cresciuta in maniera impressionante. Per esempio, nelle prime tre missioni condotte da Axiom Space a bordo della ISS abbiamo fatto esperimenti sul cancro in orbita bassa e uno potrebbe chiedersi: perché far crescere e osservare cellule cancerogene nello spazio? La risposta è che lì crescono più velocemente e allo stesso modo possiamo testare farmaci in maniera rapida per capire se sono efficaci a combattere il cancro sulla Terra; con la missione Ax-4 andremo a ripetere questo tipo di esperimenti, inoltre condurremo una ricerca, sponsorizzata da una società brasiliana, che esplora la possibilità di portare in orbita un giorno astronauti che soffrono di diabete, sempre nell’ottica di allargare la platea dell’accesso allo spazio, facendo ricerca oggi a bordo della Stazione spaziale internazionale, domani a bordo della Stazione privata targata Axiom Space. A questo punto della sua lunga carriera, che cosa rappresenta lo spazio per lei, e che cosa l’ha portata a scegliere di lavorare in Axiom Space dopo così tanti anni passati alla NASA? Lo spazio è qualcosa di molto speciale per me; mi piace dire che ne sono un po’ dipendente; si tratta di un luogo incredibilmente insolito e riuscire a vivere in questo ambiente per il quale non siamo assolutamente adatti ma a cui possiamo adattarci se vogliamo è qualcosa di molto particolare, già solo il fatto di trovarmi li lo è. Ma quello che mi ha portato a scegliere di lavorare per Axiom Space è il fatto che potenzialmente potremmo riuscire ad appropriarci della capacità di utilizzare la gravità zero per fare ricerche e riuscire a produrre manufatti che siano in grado di aiutare le persone dal punto di vista medico e della salute con medicinali e terapie appropriate, oppure fibre ottiche e biotessuti, modelli tridimensionali, e dunque capire quali nuove opportunità potrebbero aprirsi grazie al fatto di avere un’entità commerciale che gestisce la Stazione spaziale. Si tratta di un interessante modello di transizione da uno spazio gestito da enti governativi a uno spazio che diventa commerciale”. Come vivere nello spazio per tanto tempo e vedere la Terra dalla Stazione ha cambiato la sua prospettiva e il suo modo di pensare? Credo davvero che prospettiva sia la parola chiave insita nella sua domanda, perché per me è proprio questo che ci offre lo spazio: ci offre un punto di osservazione dall’alto da cui vedere il pianeta nella sua interezza e tutta l’umanità che per quanto ne sappiamo vive in questo unico posto ed esserne lontani è una condizione molto speciale per riuscire a vedere e riconoscere quanto sia speciale, soprattutto in un ambiente in cui cerchiamo di costruire sistemi di supporto artificiali per sopravvivere, sistemi di controllo della temperatura e dell’umidità; tutte cose che fanno parte del pianeta Terra e in realtà mi piace pensare ad esso come a un’astronave: ma poi se ti rivolgi alle stelle ne vedi migliaia e migliaia e migliaia ancora migliaia.. impossibile contarle e a questo per quanto riguarda solo la nostra galassia, poi ci sono miliardi e miliardi e ancora miliardi di galassie e a un certo punto tutto questo ti travolge, la prospettiva di tutto l’esistente e di noi che facciamo parte di tutto questo, con una piccola cosa, il Pianeta Terra, la nostra astronave rispetto a tutto quello che ci circonda; quindi, per me è stato sicuramente un enorme cambiamento di prospettiva. Che cosa significa per lei la parola fallimento e qual è la situazione più complessa che si è trovata a dover affrontare nello spazio? Credo che, così come sulla Terra, il fallimento alla fine sia un’esperienza da cui trarre insegnamenti, devi trovare un vantaggio da questo tipo di situazioni, superarle con un bagaglio di lezioni utili e nuovi approcci ai prossimi problemi in cui incapperai; nello spazio con il passare degli anni ci siamo trovati ad affrontare molte situazioni difficili. Costruire la Stazione spaziale non è stata una cosa banale: si tratta di una meraviglia dell’ingegneria e in un certo qual modo un miracolo; sono sicura che per la prossima stazione targata Axiom ci porteremo dietro tonnellate di lezioni imparate grazie a questi 25 anni di esperienza acquisita con la Stazione spaziale internazionale e in Axiom stiamo cercando di trarne tutto il vantaggio possibile per costruire un veicolo addirittura migliore, ma questo non significa che non ci saranno altre questioni da affrontare lungo il percorso, legate soprattutto agli aspetti del lavoro che svolgiamo. Imparare da questi incidenti in cui non siamo riusciti magari a ottenere il risultato che volevamo, beh questo processo di apprendimento ci rende più forti e ci prepara al passo successivo nell’esplorazione spaziale. Umberto Guidoni, l’astronauta italiano che è stato selezionato assieme a lei, la ricorda come una persona molto determinata e competente e rammenta la foto del 1996 che ha segnato l’inizio della vostra carriera nel gruppo numero sedici della Nasa, la classe più numerosa di sempre con ben 44 candidati astronauti. Come si ricorda quel giorno e cosa ha provato quando, dopo tanti anni di attesa, è finalmente diventata un’astronauta? È vero, ho fatto domanda più volte per dieci anni prima di essere accettata, ma il fatto era che avevo sognato di diventare astronauta da quando avevo nove anni, dopo aver visto quei ragazzi che camminavano per primi sulla Luna ho pensato: wow! che storia, lo voglio fare anch’io, ma naturalmente a quel tempo non era un lavoro per donne. Quindi, ho dovuto aspettare di diplomarmi alle scuole superiori per vedere le prime astronaute che venivano selezionate e da lì in poi non è stato più solo un sogno per me ma un obiettivo riuscire a diventare astronauta. Quello che ho provato quando sono stata selezionata è stato: finalmente! Ero così emozionata perché si trattava del sogno di una vita e in me c’era un tremendo senso di esaltazione, ma anche un sottofondo di timore del tipo: sarò davvero capace di farlo? E poi anche la paura: che succede se non riesco? Tutte sensazioni che credo sia comune provare a un certo punto durante l’addestramento per diventare astronauta. Ma per fortuna... ce l’ho fatta! Il Responsabile della Strategia di Axiom Space, Matt Ondler, ha dichiarato a Sky Tg24 che tra 15-20 anni saremo circondati da manufatti realizzati direttamente nello spazio di cui non sapremo più fare a meno e che le ricerche condotte in microgravità consentiranno importanti scoperte, soprattutto in capo medico. Condivide questa sua visione e, seguendo il filo del suo ragionamento, possiamo già definirci una società spaziale? Credo che ci stiamo avvicinando ad essere una società spaziale che potenzialmente è già lì che ci aspetta e penso che sia estremamente importante continuare a espandere la nostra presenza nello spazio, cosa che le entità commerciali stanno già facendo con la stazioni spaziali. L’accesso allo spazio è qualcosa di fondamentale per il futuro dell’esplorazione, in quanto tutto quello che facciamo in orbita bassa possiamo espanderlo e trasferirlo in orbita lunare e utilizzarlo come potenziali componenti di future applicazioni sulla superficie della Luna e poi sulla superficie di Marte; quindi credo che siamo solo all’inizio e dobbiamo lavorare per espandere della nostra società spaziale e in prospettiva renderla accessibile commercialmente tanto quanto viene gestita dalle agenzie governative, coltivando assieme obiettivi ambiziosi. Tornando alla sua prossima missione, cos’è che non dimentica mai di mettere in valigia ogni volta che parte per lo spazio? La cosa che davvero non dimentico mai di mettere in valigia, e vale anche per la missione Ax-4, è una collana che mio marito mi ha regalato il giorno del nostro matrimonio, che si è fatta già quattro viaggi nello spazio e ora si prepara per il suo quinto volo in orbita.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

“Lo spazio mi ha cambiata per sempre, in valigia metto il mio portafortuna"