Ecco perché la musica evoca ricordi

Se vi capita di conversare di musica con amici e conoscenti, prima o poi capiterà quel momento in cui qualcuno dirà “le canzoni di xx anni fa erano tutta un'altra cosa”, facendo riferimento alla musica che era solito ascoltare da giovane e a cui sono legati molti ricordi. A quel xx possiamo abbinare qualsiasi numero, perché in verità non si tratta di una questione legata a una particolare generazione, ma dal fatto che la musica del passato evoca in noi emozioni potentissime legate al cosiddetto “effetto nostalgia” che la rende irripetibile. Certo, il mercato musicale cambia, come cambia la cultura che lo determina, portando così all’evoluzione dei gusti del pubblico e dunque della produzione musicale. Inoltre, come abbiamo ricordato su queste pagine, la cosiddetta musica mainstream oggi è molto limitata nei generi e nei gusti rispetto al passato; ma tutte queste motivazioni hanno un impatto minore rispetto a quello che, in realtà, succede nel nostro cervello quando ascoltiamo canzoni che abbiamo “sentito e vissuto” quando avevamo tra i 12 e i 22 anni. Anche perché questo processo funziona con canzoni come “Club Tropicana” degli Wham, “Nord Sud Ovest Est” degli 883 o “Rhythm is a dancer” degli Snap! - per citarne tre a caso – non propriamente dei capolavori della musica. Musica e memoria L'effetto nostalgia è potentissimo e ha fondamentalmente a che fare con ciò che accade nel nostro cervello. In generale, come già abbiamo approfondito, l’ascolto della musica attiva una serie di aree cerebrali coinvolte nella produzione e nella trasmissione di dopamina, chiamata volgarmente “l'ormone della felicità”, il neurotrasmettitore coinvolto nel sistema della memoria e che contribuisce anche alla formazione e al mantenimento dei nostri ricordi. Le due aree del cervello associate alla memoria sono l'ippocampo e la corteccia frontale che assorbono una grande quantità di informazioni ogni minuto. Recuperarle non è sempre facile, ma la musica in questa senso aiuta molto perché riesce a dare un ritmo e delle rime che “sbloccano il ricordo”. C'è un legame fortissimo tra musica e memoria, ma è lecito chiedersi perché quando ascoltiamo una canzone in particolare, proviamo emozioni forti anziché essere semplicemente in grado di recitarne il testo. Perché in effetti certe canzoni che hanno accompagnato le nostre estati, i nostri primi viaggi con gli amici, i primi amori, anche se non sono brani memorabili restano attaccate alla memoria. Il motivo lo spiega Bob Snyder, compositore e presidente del sound department all'Art Institute of Chicago, in un suo celebre speech. Tutto deriva dal fatto che esistono vari tipi di memoria, tra cui la memoria esplicita e quella implicita. La memoria esplicita è un recupero deliberato e consapevole del passato, spesso posto da domande come: dov'ero quell'estate? Con chi stavo viaggiando?, eccetera. La memoria implicita è invece più una forma di memoria reattiva e involontaria. "Una gran parte della memoria avviene nella mente inconscia", sostiene Snyder. "Ci sono aspetti della memoria che vengono ricordati implicitamente, cioè al di fuori della coscienza. I sistemi di memoria implicita coinvolgono parti del cervello diverse rispetto ai sistemi di memoria esplicita". Sono i sistemi di memoria esplicita a essere danneggiati da condizioni come l'Alzheimer, mentre al confronti i sistemi impliciti sono molto più robusti. Snyder spiega che "le cose che possono influenzarci fuori della coscienza sono spesso considerate potenti". In altre parole, la memoria implicita è emotiva e durevole. In particolare, i ricordi stimolati dalla musica spesso provengono da momenti particolari della nostra vita. Gli psicologi lo hanno chiamato "reminiscence bump": ad esempio momenti in cui sperimentiamo le cose per la prima volta o quando diventiamo indipendenti, momenti in cui tutto è nuovo e significativo. Nel nostro cervello, dunque, rimane immagazzinato il ricordo di una canzone, di un artista, una band o un genere musicale, associato al ricordo di una forte percezione di piacere e questa associazione permane per tutta la vita. Potrebbe essere proprio questa la ragione fondamentale perché tendiamo a considerare i brani della nostra adolescenza e post-adolescenza i migliori in assoluto. E poiché il cervello umano è un organo che funziona limitando il più possibile il dispendio di energie, favorirà sempre il ritorno all’ascolto di ciò che già conosciamo prima di spingerci a cercare nuova musica. La musica come madeleine sociale e aiuto Cretien van Campen è l'autore del libro “The Proust Effect: The Senses as Doorways to Lost Memories” in cui il ricercatore olandese studia i modi in cui i diversi sensi agiscono come la madeleine per l'autore francese Marcel Proust in “Alla ricerca del tempo perduto” quando un morso della torta dolce lo riporta alla sua infanzia con tutti i suoi odori, colori e sensazioni. Gran parte del lavoro di Campen studia il cervello, ma fa un'importante osservazione su ciò che accade al di fuori delle nostre teste. "L'olfatto differisce in quanto è un ricordo personale, mentre c'è qualcosa di molto sociale nella nostra esperienza della musica", sottolinea. "I ricordi musicali sono spesso condivisi con i coetanei". Siamo soliti infatti ascoltare la musica insieme: a una festa, mentre balliamo o parliamo, ai concerti o durante certe serate in cui la musica è parte integrante delle vite trascorse con amici e contribuisce a renderla particolarmente significativa. Come abbiamo già in parte raccontato, le persone che hanno subito lesioni cerebrali traumatiche spesso hanno problemi di memoria, ma la musica può aiutare a far rivivere alcuni di quei momenti speciali della loro vita che hanno dimenticato. Chi soffre di demenza può scatenare ricordi vividi ascoltando la musica che ha sentito quando era giovane. Campen sottolinea anche i suoi usi per chi soffre di depressione: la musica può aiutare le persone a ricordare parti difficili della loro vita che non erano necessariamente così brutte come avevano pensato. "Le persone depresse spesso si sentono come se ci fosse una coperta sulle loro vite". Ascoltare musica e ricordare varie esperienze "può aiutarli a ricordare le esperienze più complesse". Non è che siano sempre positive, nota, "ma possono essere più complete". Quindi la musica non può curare, ma forse può aiutare a guarire. Campen è ottimista sul lavoro futuro: "Oggi le persone si preoccupano molto di dimenticare e dei problemi di memoria. Ma la cosa bella è che oggi stiamo iniziando ad aiutare a ricordare".

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