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Il Dna può assomigliare a un fiore: una scoperta che apre a possibili cure antitumorali

Scienze
Immagine di archivio (Getty Images)

L’acido desossiribonucleico assume questa peculiare forma quando deve replicarsi in vista della divisione cellulare. Per dimostrarlo, i ricercatori guidati da Marco Foiani, di Ifom, hanno utilizzato un innovativo approccio bioinformatico e matematico

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Il Dna non smette di stupire: un gruppo di ricercatori, guidato da Marco Foiani, Direttore Scientifico dell’Istituto Firc di Oncologia Molecolare (Ifom) e professore di biologia molecolare presso l’Università degli Studi di Milano, ha scoperto che l’acido desossiribonucleico può assumere la forma di un fiore, con tanto di petali e spine, quando deve replicarsi in vista della divisione cellulare. Questa delicata conformazione tridimensionale è protetta dall’“allarmina”, una proteina fondamentale contro lo stress meccanico che potrebbe danneggiare i cromosomi portando all’insorgenza di tumori. Lo studio, frutto di un innovativo approccio bioinformatico e matematico, è stato condotto grazie al sostegno della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. I risultati ottenuti, descritti sulla rivista Nature, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di cure anticancro complementari a quelle esistenti, per aumentarne l’efficacia e ridurne la tossicità.

Petali e spine

“Grazie all’applicazione di sofisticati modelli computazionali e matematici, abbiamo individuato un codice, un linguaggio non studiato della topologia del Dna, che coordina una serie di processi cellulari cruciali durante la replicazione dei cromosomi”, spiega Foiani. I ricercatori sono così riusciti a scoprire che, in vista della divisione cellulare, lungo il Dna si verificano degli attorcigliamenti che danno vita a una struttura simile alla corolla di petali di un fiore, al cui interno è protetta la sequenza di materiale genetico. Alla base dei petali, invece, l’acido desossiribonucleico assume una conformazione cruciforme, simile a delle spine. Per impedire che il materiale genetico contenuto all’interno di queste strutture possa essere danneggiato, le cellule le proteggono rilasciando una proteina specifica chiamata HMGB1, nota anche come “allarmina”. Questa sostanza rappresenta un vero e proprio segnale d’allarme e permette di richiamare dalla circolazione sanguigna i globuli bianchi in grado di contrastare le infezioni.

L’importanza della scoperta

“Riuscire a identificare i processi che salvaguardano l’integrità del genoma e la sua organizzazione topologica costituisce un significativo avanzamento delle conoscenze nella ricerca oncologica a livello molecolare, gettando le basi per l’identificazione di combinazioni terapeutiche sempre più mirate contro le cellule tumorali, senza danneggiare il genoma delle cellule sane”, spiega Foiani.