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Una mutazione del Dna rende più difficile smettere di fumare

Scienze
Foto di archivio (Getty Images)

Lo studio di un istituto francese mostra che una mutazione genetica molto comune in Europa aumenta il consumo di tabacco e il rischio di ricadute 

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Libri motivazionali, riduzioni graduali o altro ancora: esistono tanti modi in cui una persona può decidere di smettere di fumare. Chi sceglie di intraprendere questo percorso deve però fare i conti con il rischio della ricaduta, spesso dietro l’angolo nei momenti di maggiore stress. O forse dipende da altro? Un nuovo studio condotto dal gruppo coordinato da Benoit Forget dell’Istituto Pasteur, una fondazione no-profit francese, evidenzia infatti come la difficoltà a rinunciare una volta per tutte alle sigarette possa dipendere più da un fattore genetico che della volontà di un individuo.

Recettori sensibili alla nicotina

Stando a quanto suggerito da studi realizzati in precedenza, la dipendenza causata dalla nicotina è data dal legame della sostanza con alcuni particolari recettori del cervello, all’interno di un processo in grado di attivare il circuito della ricompensa. Questi sensori, formati da cinque diversi componenti, sono dunque in grado di stimolare il consumo del tabacco: tuttavia, alcuni recenti lavori hanno dimostrato che una mutazione di uno di questi elementi, il gene CHRNA5, corrisponde a un rischio maggiore di sviluppare la dipendenza dalla nicotina.

Gli effetti della mutazione genetica

Incuriositi dai precedenti risultati, riferiti oltretutto a una mutazione genetica comune al 35% della popolazione in Europa, il team dell’istituto parigino ha voluto vederci più chiaro. Ancora una volta, sono stati i topi a rappresentare l’oggetto di studio per giungere a conclusioni preziose per l’essere umano. Introducendo infatti la mutazione del gene CHRNA5 negli animali, i ricercatori hanno potuto notare un consumo di dosi maggiori di nicotina, unito inoltre ad una maggiore tendenza a riprendere l’abitudine dopo averla lasciata. Quest’ultimo effetto, in particolare, è stato associato a una minore attività dei neuroni in una zona cerebrale particolarmente ricca di recettori della nicotina. Ecco perché, secondo Uwe Maskos, tra gli autori del lavoro, “un farmaco capace di aumentare l’attività della componente dei recettori del tabacco codificata dal gene mutato potrebbe ridurre il consumo della sostanza così come il rischio di eventuali ricadute”.