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I vulcani attivi hanno le "vene": si comportano come valvole

Scienze
L'Etna innevato (archivio Getty Images)

La scoperta arriva dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che ha firmato uno studio condotto sull'isola di Lipari

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La maggior parte dei vulcani attivi possiede delle 'vene' e si comporta come una valvola. A dirlo è l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) che ha pubblicato uno studio sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature. Si tratta di fratture riempite dai minerali depositati dai fluidi che possono fornire informazioni preziose sull'evoluzione e sulla dinamica a lungo termine dei vulcani, ma anche dei sistemi idrotermali.

 

Le vene dei vulcani – I ricercatori dell'Ingv hanno analizzato queste particolari strutture nell'Isola di Lipari allo scopo di capire come si siano formate e per quale ragione. I dati raccolti hanno consentito di determinare le variazioni della permeabilità e della pressione della crosta, oltre che di ricostruire la storia di queste strutture. Inoltre è stato possibile anche stabilire a che profondità si trovasse la sorgente dei fluidi. Le vene non sarebbero altro che fratture riempite nel tempo con deii minerali. Anche da questo fenomeno, e non solo dalla risalita del magma, dipenderebbe l'attività dei vulcani che si comporterebbero come una valvola. I fluidi presenti in profondità, infatti, durante la risalita in superficie, riempiono le fratture e sigillano la crosta come un tappo che impedisce la risalita del magma. Questo processo si ripete nel tempo e dipende dalla composizione dei fluidi stessi e dalla conformazione della crosta terrestre.

 

Il ruolo delle vene – Le vene giocano un ruolo fondamentale nella dinamica dei sistemi vulcanici. Sigillando la crosta, infatti, determinano una riduzione della permeabilità e un suo sollevamento. Di conseguenza, si creano delle sacche in profondità in cui la pressione è troppo alta e questo può comportare altre fratture nel sistema e perfino arrivare a innescare eruzioni vulcaniche per decompressione istantanea all’interno della camera magmatica. A quel punto, quando il sistema è ormai fratturato, comincia un altro ciclo di deposizione e formazione delle vene.

 

Le implicazioni dello studio – La novità principale portata dallo studio dell’Ingv riguarda il monitoraggio delle aree vulcaniche. Generalmente la diminuzione del degassamento in un'area vulcanica attiva è interpretata come un raffreddamento del sistema magmatico. "Tuttavia - spiega Guido Ventura, ricercatore dell'Istituto nazionale di geologia e vulcanologia - i dati evidenziano che questo potrebbe invece significare una diminuzione di permeabilità dovuta alla deposizione di minerali nelle fratture con conseguente aumento della pressione. Il sistema si troverebbe quindi ad evolvere verso una condizione di maggiore instabilità che potrebbe precedere una esplosione idrotermale o un'eruzione vulcanica".