HIV in Italia: stabili le nuove diagnosi, ma 6 su 10 sono tardive

Dopo tre anni in rialzo, il numero delle nuove diagnosi di HIV in Italia torna a essere stabile: nel 2024 sono stati registrati 2.379 nuovi casi rispetto ai 2.349 del 2023, un segnale positivo che arresta la crescita osservata dopo la pandemia. Non solo: il numero di nuove diagnosi da HIV rilevate in Italia resta al di sotto della media dei Paesi dell’Europa occidentale. L’andamento dell’infezione resta quindi sotto controllo, ma con gravi criticità: più del 60% delle diagnosi arriva in ritardo, la disinformazione resta elevata e gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 sempre più lontani. Sette nuove diagnosi al giorno A trainare il numero delle nuove diagnosi restano i rapporti sessuali non protetti, che rappresentano quasi il 90% dei casi: il 46% tra persone eterosessuali, il 41,6% provengono da rapporti sessuali tra maschi. Il contagio legato al consumo di droghe per via iniettiva invece costituisce il 3,8% del totale: una percentuale che, secondo Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS , rispecchia “la mancanza di adeguate politiche di riduzione del danno” che “continua a rendere troppo alto il rischio di trasmissione in questo gruppo di popolazione, soprattutto in contesti difficili come le carceri”. Come nel 2023, quasi 8 nuove diagnosi su 10 riguardano uomini, con un’età media di 41 anni. La fascia più colpita è quella 30–39 anni, dove si registrano 10 nuovi casi ogni 100mila residenti, con un’incidenza tre volte più alta nei maschi rispetto alle femmine. Le diagnosi si concentrano soprattutto nelle grandi aree urbane e nelle regioni del Centro-Nord: Roma, Firenze e Milano risultano le province con l’incidenza più elevata, mentre Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna superano i 4,5 casi ogni 100mila abitanti. Una distribuzione che, secondo LILA, riflette diversi fattori e che si intreccia con la mobilità sanitaria: alcune regioni, come la Sicilia, vedono partire pazienti verso centri più specializzati, mentre altre, come Lombardia e Lazio, registrano un flusso in ingresso che contribuisce a modificare la mappa delle nuove diagnosi. Nel complesso, il numero di nuove diagnosi dovrebbe salire a 2.500, dato che i ritardi di notifica nella raccolta dei dati restano un problema irrisolto insieme all’assenza di dati sul numero complessivo di test eseguiti e la mancanza di comunicazione tra i registri dei casi di HIV e di AIDS. Come aveva segnalato l’anno scorso a SKYTG24, Giusi Giupponi, presidente nazionale della LILA, “una raccolta dei dati qualitativamente superiore permetterebbe di indirizzare al meglio le politiche socio-sanitarie relative all’HIV. Un modello innovativo di raccolta dati è contenuto in una proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati durante la scorsa legislatura e il cui obiettivo è aggiornare l'attuale legge 135 del 1990”. Il disegno di legge, presentato nel 2022, tuttavia, è ancora in esame alla Commissione Affari sociali del parlamento. In ritardo Nonostante la stabilità delle nuove diagnosi, il dato più preoccupante del 2024 riguarda la persistente quota di diagnosi tardive. Oggi quasi 6 persone su 10 scoprono l’infezione quando il sistema immunitario è già compromesso , una delle percentuali più alte dell’Europa occidentale. È una tendenza in aumento da quasi un decennio e che, solo nell’ultimo anno, ha riguardato circa 1.400 persone. Ancora più critico è il fatto che 4 persone su 10 arrivano alla diagnosi con meno di 200 CD4 cell/μL: significa che molti pazienti scoprono l’infezione solo quando compaiono sintomi evidenti o patologie correlate, perdendo anni preziosi in cui un trattamento tempestivo avrebbe cambiato la traiettoria della malattia. Il profilo di chi riceve una diagnosi tardiva racconta un problema culturale prima ancora che sanitario: si tratta, nella maggior parte dei vasi, di uomini italiani sopra i 30 anni, sia eterosessuali che omosessuali. Nelle persone eterosessuali, in particolare, il ritardo nella diagnosi è molto evidente e riguara il 66,5% degli uomini e il 61% delle donne rispetto al 53,2% degli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. Il rischio cresce con l’età, fino a raggiungere percentuali preoccupanti tra gli over 60, dove oltre 7 su 10 scoprono l’infezione solo in fase avanzata. Le ragioni di questo ritardo emergono chiaramente: quasi la metà delle persone testate nel 2024 lo ha fatto perché già sintomatica o con una sospetta patologia correlata all’HIV. Solo una minoranza arriva al test per comportamenti a rischio o grazie a screening e iniziative informative . Eppure, oggi più che mai, è il tempismo nella diagnosi a fare la differenza: le terapie antiretrovirali, se iniziate precocemente, proteggono il sistema immunitario e portano il virus a livelli non rilevabili, rendendo impossibile la trasmissione sessuale. 450 nuove diagnosi di AIDS Nel 2024 sono state registrate 450 nuove diagnosi di AIDS, in calo rispetto al 2023, quando erano 532. In totale, dal 1982 a oggi l’AIDS è stato diagnosticato a 73.717 persone: 48.356 sono decedute per patologie correlate entro il 2022. “Si tratta di morti che potrebbero essere assolutamente evitate”, ha sottolineato Giupponi. Tra le persone con AIDS resta altissimo , anche nel 2024, il numero di chi ha scoperto di aver contratto l’HIV al massimo sei mesi prima della diagnosi di AIDS, mentre il 79,0% delle persone con AIDS non ha ricevuto una terapia antiretrovirale prima della diagnosi. Nel complesso, l’Italia resta lontana dal pieno raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e UNAIDS per il 2025 e dal traguardo dell’eliminazione dell’AIDS entro il 2030. Le stime indicano che nel Paese vivono circa 150mila persone con HIV: tenendo però conto delle persone che non sanno di aver contratto il virus questa cifra potrebbe raggiungere un totale di 163mila persone. Il nostro sistema si avvicina al target 95-95-95 se consideriamo solo la popolazione che ha ricevuto una diagnosi, ma scende a 95-89-83 quando si includono anche le persone inconsapevoli della propria sieropositività. In particolare, LILA segnala che “solo l’83% delle persone con HIV con soppressione virologica mentre un 17% non lo è per vari motivi ”. Una percezione del rischio errata e fuorviante “La mancanza di politiche e programmi di prevenzione, la mancata promozione dei test e della diagnosi precoce alimentano una percezione del rischio errata e fuorviante”, ha spiegato Giupponi. “Le persone, soprattutto eterosessuali, non conoscono o non considerano le modalità di trasmissione dell’HIV, non pensano di doversi proteggere, non sanno come farlo e credono ancora che il problema riguardi solo presunte categorie a rischio. Oppure vivono una condizione di stigma ed esclusione sociale tale da rendere molto difficile l’approdo ai servizi pubblici”. A rispondere a queste gravi lacune sono sempre più i servizi gestiti da associazioni, molto spesso auto-finanziati nonostante le agenzie internazionali raccomandino di sostenerne e rafforzarne l’azione. Nel caso di LILA, che nel 2024 ha offerto supporto a oltre 11mila persone, i dati raccolti dimostrano che il livello di conoscenza generale sulle vie di trasmissione e sui comportamenti a rischio rimane confuso. Tra chi chiama per valutare eventuali rischi corsi, il 19,3% mostra incertezza sui rapporti orali ricevuti , un 18% di persone, quasi tutti uomini, vive con ansia i rapporti sessuali riferiti, soprattutto se a pagamento, anche se ha usato correttamente il preservativo. Quasi un 15% ha dubbi sulla masturbazione, un 2,9% teme ancora per il bacio, l’11,7% è in ansia per la presenza in luoghi pubblici di presunte persone con HIV e per eventuali contatti, anche indiretti, con loro. Tra le persone con HIV i temi principali restano le terapie . Molto sentito anche il tema dei diritti che comprende oltre quaranta richieste di consulenza o supporto legale per episodi di violazione della privacy o richiesta di test nei luoghi di lavoro nonostante questa pratica sia vietata per legge. Un tema rilevante per le persone con HIV, soprattutto quelle con diagnosi recente, è anche quello degli aspetti emotivi e relazionali che spaziano dai timori per il proprio futuro, alla paura di non essere accettati, allo stigma subito, alla visibilità rispetto al proprio stato sierologico: temi che riflettono le difficoltà che, tuttora, e persone con HIV devono affrontare nella loro vita sociale e nel quotidiano. Uno stigma che spesso viene alimentato anche dai media, come hanno sottolineato in un appello un gruppo di associazioni italiane. “Chiediamo un giornalismo che rispetti la privacy e la dignità delle persone, che non chieda come abbiamo preso l’HIV ma come stiamo vivendo oggi. Che dia spazio alla scienza, alla solidarietà, al futuro. Chiediamo un racconto dell’HIV non teso a commuovere, ma a far capire. Perché raccontare l’HIV oggi non significa parlare di malattia, ma di salute, di libertà, di uguaglianza”.

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Roberta Cavaglià