Nel mondo aumenta l’obesità, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo

Oggi quasi 900 milioni di adulti in tutto il mondo vivono con l’obesità. Si tratta di una condizione che porta con sé almeno una ventina di patologie diverse: dal diabete all’infarto, fino a disturbi cerebrali ancora spesso sottovalutati. E non è neanche soltanto di una questione di salute individuale: se guardiamo all’impatto economico, le stime sono allarmanti. Da qui al 2050, l’obesità potrebbe tradursi in una perdita di PIL pari a 2.760 miliardi di dollari a livello globale, secondo il McKinsey Health Institute, e questo principalmente a causa di minore partecipazione al lavoro e produttività ridotta. Ogni anno, inoltre, vengono persi circa 132 milioni di anni di vita sana . Negli ultimi anni, però, il panorama sta cambiando rapidamente. Alcuni farmaci di ultima generazione, in particolare quelli noti come GLP‑1, hanno riportato il tema dell’obesità sotto i riflettori, non solo in ambito medico ma anche nel dibattito pubblico. Tra il 2022 e il 2024, le prescrizioni di questi farmaci sono aumentate in media del 38% ogni anno. E le previsioni per il futuro parlano chiaro: entro il 2030 il mercato globale dei GLP‑1 potrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari, e negli Stati Uniti si stima che entro fine decennio fino al 5% della popolazione potrebbe assumere regolarmente questi farmaci. A questo punto, sempre secondo il McKinsey Health Institute, si aprono due strade. La prima è quella più diretta: trattare l’obesità come una condizione medica da affrontare con i GLP‑1 e più in generale con nuovi farmaci, riducendo il peso corporeo e, con esso, il rischio di numerose malattie. In questo scenario, i benefici attesi ammonterebbero globalmente a 132 milioni di anni di vita sana guadagnati e a un aumento del PIL globale simile al valore delle perdite previste: 2.760 miliardi di dollari entro il 2050. La seconda strada è più ambiziosa, ma anche più strutturale nel senso che agisce più a fondo: trasformare l’approccio alla salute metabolica a livello di popolazione, non limitandosi a intervenire sull’obesità conclamata, ma includendo anche tutte quelle condizioni subcliniche che spesso passano sotto traccia, come glicemia alterata, ipertensione, dislipidemia, malattie renali croniche. Sempre secondo McKinsey, se riuscissimo a intraprendere questa direzione, potremmo aumentare ogni anno il PIL globale di circa 5.650 miliardi di dollari, una cifra pari al 3% dell’intera economia mondiale. Una trasformazione del genere naturalmente non si può improvvisare, e servono almeno cinque grandi cambiamenti. Il primo è scientifico: bisogna andare oltre le misure tradizionali come l’indice di massa corporea, iniziando piuttosto a leggere il corpo umano in modo più completo, considerando la composizione corporea, nuovi biomarcatori e perfino il ruolo del microbioma. Il secondo è legato alla trasparenza: serve una raccolta dati più continua e precisa su fattori di rischio, comportamenti e capacità di risposta dei sistemi sanitari. Il terzo riguarda la tecnologia: intelligenza artificiale, app, dispositivi indossabili e terapie digitali possono aiutare le persone a prendersi cura della propria salute in modo proattivo. Il quarto cambiamento chiama in causa l’economia: bisogna ripensare gli incentivi, rendere più convenienti le scelte salutari, attirare investimenti e sostenere chi lavora nella prevenzione. L’ultimo, il quinto, è culturale e sociale: senza comunità coinvolte, informate e attive, nessuna rivoluzione sarà davvero possibile. Se confrontiamo le due strade delineate da McKinsey, emerge con chiarezza che la prima – pur essendo utile – ha un raggio d’azione limitato, dal momento che i farmaci da soli, per quanto potenti, non possono cambiare le fondamenta di un problema così vasto. La seconda via, quella sistemica, promette invece benefici molto più ampi, ma per ottenerli serve uno sforzo coordinato tra tanti attori: il sistema sanitario, il mondo del lavoro, il settore alimentare, le tecnologie digitali e anche le politiche ambientali. Lo stesso McKinsey Health Institute sottolinea, però, che non si tratta di scegliere tra farmaci e prevenzione, ma di integrare i due approcci: i GLP‑1 possono infatti fare parte della soluzione a pieno titolo, ma vanno inseriti in un disegno più ampio, che agisca sui fattori più profondi, a partire dagli stili di vita.

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Alessio Vernetti