Perché il male interiore si impossessa di noi

La città fortezza di Palmanova del Friuli rappresenta un ammonimento e una significativa metafora della pazienza, atteggiamento quasi completamente sparito dalle nostre precedure esistenziali. Per vedere la configurazione delle sue mura, una stella a nove punte, e goderne la sorprendente armonia geometrica, oggi ci basta andare su internet, ma coloro che la progettarono e la costruirono non ebbero la medesima fortuna. La ragione è molto semplice, non esisteva nulla che potesse portarli in alto per mostrare loro il meraviglioso effetto d’assieme che cinque secoli dopo avrebbe permesso a quelle mura di entrare tra i beni tutelati dall’Unesco. Erano stati i veneziani a volerle, alla fine del Cinquecento. Quando la visitai mi chiesi se chi la edificò poteva contare su qualche rudimentale macchina volante che consentisse loro di vederla dall’alto, in modo da potere verificare la correttezza del loro procedere. È complicato portare a compimento un’opera così audace senza particolari verifiche in tempo reale. Immaginavo l’ausilio di una mongolfiera, ma il primo volo certificato di quei palloni risale al 5 giugno 1783, esattamente due secoli dopo l’inizio dei lavori. Migliaia di persone procedettero, dunque, quasi “alla cieca”, supplendo col genio ma senza sperare di potere godere appieno i risultati della fatica, neppure quando sarebbe stata portata a compimento. L’avrebbero vista dall’altezza dei loro occhi, per tutto il corso della loro vita. Allora i mezzi erano quelli, non credo si recriminasse su ciò che non era. La gittata di qualsiasi impresa edilizia era lunga, talvolta intergenerazionale, per almeno due ragioni. La prima è che la speranza di vita era circa la metà di quella attuale. La seconda è che si faceva tutto a mano, non c’erano macchine operatrici. Coloro che cominciavano non sempre erano le stesse persone che vedevano l’opera compiuta. Quindi, prima del risultato c’era dell’altro, tanto altro, soprattutto c’era un “percorso” di competenza, osservazione, impegno. Quando questa sequenza si rompe, e accade spesso, il protagonista diventa soltanto l’uomo coi suoi bisogni di visibilità, di considerazione, talvolta a qualsiasi costo. È questo a provocare il crollo dei ponti, quelli fisici, di cemento armato, e quelli interiori, assai più fragili, sottoposti a pressioni inaudite, capaci di piegare la persona, non di rado di spezzarla, rendendola comunque infelice. In un mondo che pone l’apparire al di sopra di ogni altra istanza, si verificano degli effetti molto precisi. Nel dominio fisico. Si costruisce ma non si manutiene, perché la prima azione genera successo la seconda è invisibile, nascosta, non crea riconoscimento. Nel dominio psichico. Qui il fine dell’utilità collettiva è sostituito da quello, di cortissimo raggio, della soddisfazione immediata, che risucchia spaventose quantità di energie morali e fisiche, attraverso l’attivazione incessante dei circuiti della vigilanza. Per essere espliciti, succede ciò che accadrebbe se lasciassimo accese tutte le luci di casa e ventiquattrore al giorno, ma anche l’impianto di riscaldamento, tutti i giorni i giorni dell’anno. Un dispendio di energie che ci prosciuga, ci esaurisce e ci obbliga a rimediare, chimicamente o attraverso altri tipi di aiuto, psicologico e di altra natura. Il consumo massiccio e crescente di sostanze come la cocaina o nuove droghe non è solo un “vizio”, ma per tanti la conseguenza della necessità di stare al passo, superare limiti fisiologici nell’uomo, che forziamo perché le nostre risorse naturali non bastano per rispondere ai collaudi sempre più impegnativi che ci chiedono i mondi intorno a noi, a cominciare da quello lavorativo. Quest’ultimo, stimolatore incessante della “prestazione”. Un’aggressione alla nostra vita che parte da lontano, nelle mura domestiche, sovente mascherata dalle migliori intenzioni, “per il nostro bene”. “Qualsiasi cosa dicessi alla mamma, lei mi faceva osservare che avevo sbagliato e io le chiedevo scusa automaticamente. Quando da adulta mi resi conto che mio marito mi tradiva, mi procurai il numero della mia rivale e le telefonai, ma invece di insultarla mi limitai a chiederle secondo lei dove potevo avere sbagliato”. Una donna, di talento umano non comune, ma paralizzata dalla paura di sbagliare, mi lascia questo racconto, molto significativo. “Vacanze sempre in montagna, che mi piacesse o meno. Tutte le mattine si partiva presto, molto presto, per non trovare troppa gente e si stava in silenzio. Lo zaino pieno di diversi capi di abbigliamento per qualsiasi tempo che si poteva trovare nella giornata e con mille oggetti per affrontare ogni necessità. Le camminate avevano delle regole. Si procedeva sul sentiero seguendo i passi di papà senza fermarsi, se non quando e dove lo decideva lui. Qualora fossi stanca dovevo rallentare, non fermarmi. Ci si poteva fermare, in casi estremi, unicamente al sole, perché l'ombra raffreddava troppo. Dovevo camminare a testa bassa e guardare dove metteva i piedi papà, perché se la alzavo, inciampavo e cadevo. Infine, in montagna si saluta sempre chi si incontra”. Sulle nostre naturali fragilità e sugli altrettanto naturali sentimenti, di inadeguatezza, ingigantiti da approcci educativi capaci di farci sentire in debito col mondo, da grandi qualcuno fonderà il proprio potere su di noi e avrà gioco facile nel ricordarci che se non si arriva in cima è solo per colpa nostra. Così ci sentiremo costretti ad accodarci a tutti gli altri scalatori che affollano i sentieri della montagna, che sgomiteranno per arrivare in cima dimenticando di guardare il paesaggio e quando saremo arrivati avremo già dimenticato perché ci siamo saliti. In attesa di una nuova scalata, senza mai avere la sicurezza di restare sulla vetta. La caducità, una delle tante nuove paure. Lo sapevano anche gli antichi, che gli strappi non fanno bene, anche il profeta Abdia ne era certo e lo scriveva, ammonendoci. “Anche se tu fossi salito in alto come l’aquila e avessi posto il tuo nido tra le stelle, io di lassù ti farò discendere”. Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, rappresenta una voce autorevole nel panorama della psicologia italiana. È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra questi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, fino ai recentissimi “Volere Bene. La mente e il cuore” e “Individualisti si cresce" . Nella sua produzione sono presenti il romanzo di formazione “La casa di Henriette” e la collana illustrata di psicologia “Crescere senza effetti collaterali” , quest’ultima tradotta in diversi paesi, ultimo dei quali la Cina. È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/