Anna Arnaudo: "La mia battaglia perché gli atleti con diabete non siano più discriminati"

Diciotto anni, una vita davanti e fino a quel momento in salute. Avere ottimi voti, amare lo sport e praticarlo con disciplina. Un giorno, improvvisamente, ricevere una diagnosi: diabete di tipo 1. È il caso di Anna Arnaudo, atleta e mezzofondista piemontese, e di altre 300 mila persone in Italia che soffrono di una patologia di origine autoimmune, ancora poco conosciuta e spesso confusa con il diabete di tipo 2. Arnaudo, oggi 24 anni, ha affrontato lo choc della diagnosi grazie a un pensiero a cui si è aggrappata: non smettere di fare sport. Anche se le difficoltà si sarebbero moltiplicate: performare mantenendo una glicemia stabile per tutto il tempo della gara è una sfida estremamente difficile per una persona con diabete di tipo 1. Bisogna imparare a dosare l’insulina nel modo corretto per evitare sia iperglicemie che ipoglicemie, calcolare la quantità esatta di carboidrati da assumere, studiare quante ore prima somministrarsi la terapia, e superare la paura del rischio di un calo di zuccheri… Insomma, un lavoro dentro un lavoro. Fisico e mentale. La prima volta in Nazionale dopo la diagnosi Arnaudo si è accorta di avere il diabete di tipo 1 durante un periodo di estrema stanchezza fisica. "Avevo una sete fortissima, bevevo fino a farmi venire mal di pancia. Ero dimagrita e sempre spossata, e nemmeno gli allenamenti e le gare andavano più bene", racconta a Sky TG24 Insider. Le sue analisi del sangue rilevarono un'iperglicemia a digiuno. "Mi chiamarono a scuola per dirmi che avevo il diabete. 'Da oggi la tua vita sarà diversa, per il diabete di tipo 1 non esiste una cura'". Durante il ricovero il pensiero più difficile da sopportare era il timore di dover smettere di fare sport. Invece un infermiere le disse che avrebbe potuto continuare a correre. "Una frase che in quel momento mi ha salvata. Ed è stata una cruciale nel mio percorso di accettazione", racconta. "Dopo aver iniziato la terapia insulinica, indispensabile per le persone con diabete di tipo 1, il mio fisico ha ricominciato a stare meglio. Sono come tornata a vivere". Tanto che pochi mesi dopo la diagnosi è arrivata la sua prima convocazione in Nazionale: un sogno che inseguiva da anni. "Esserci riuscita nonostante il diabete è stata una soddisfazione enorme. Se è vero che questa malattia è una "condanna" perché non c’è possibilità di guarire, mi ha anche spronato a seguire uno stile di vita sano, fondamentale per i miei allenamenti". Un equilibrio fragile tra studio e preparazione Lo sport è di fondamentale importanza per le persone con diabete, perché tende ad abbassare la glicemia. D'altro canto, però, 'stare in equilibrio' durante prestazioni ad alti livelli è complesso. Basta un'ipoglicemia per far fallire una gara. "Ho dovuto fare diversi test per imparare a gestire i valori, e modificato in parte la mia alimentazione. Trovare un equilibrio non è stato facile", racconta Arnaudo, che inizia a prepararsi diversi giorni prima di una competizione. "Entro in una sorta di trance agonistica dove mi concentro per tenere la glicemia in range per più giorni possibili. Devo calcolare bene cosa e quando mangio, quante unità di insulina mi servono... Un equilibrio molto fragile, tra alti e bassi: devo avere le energie per allenarmi e nello stesso tempo i miei valori devono essere buoni". La battaglia per poter entrare nei corpi sportivi militari Ma nonostante le difficoltà ulteriori rispetto a quelle che un atleta normoglicemico non deve affrontare, Arnaudo, nove titoli italiani alle spalle - arrivata seconda agli Europei under 23 nei 10 mila metri e con due record italiani Under 23 - si sente discriminata per via della malattia. Perché, a causa di una legge antichissima che risale al 1933, agli atleti con diabete non è permesso appartenere ai corpi sportivi militari, una conditio sine qua non per diventare professionisti a tutti gli effetti. Motivo per cui Arnaudo, insieme alla feSDI , sta promuovendo una battaglia che oggi 14 novembre, in occasione della Giornata Mondiale del Diabete, porta in Senato attraverso un disegno di legge per chiedere equità tra atleti e atlete. "Chi mi vede gareggiare con altre sportive si chiede perché io non faccia parte di un corpo militare come loro, e la risposta purtroppo è 'perché è diabetica'. Come se non lo meritassi: è avvilente", sottolinea. "E poi c’è l’aspetto economico. Non veniamo retribuiti al pari degli altri atleti, nonostante la nostra fatica sia doppia". L'esperto: "Anche bambini diabetici possono diventare campioni" A promuovere questa battaglia al fianco di Anna Arnaudo e di Giulio Gatani, schermidore con diabete di tipo 1, c'è anche Riccardo Candido, presidente FeSDI e Professore Associato di Endocrinologia. "Ancora oggi gli atleti con diabete hanno questo grosso limite per via di una legge regia che prevede che soggetti con patologie metaboliche non possano entrare a far parte dei gruppi sportivi delle forze armate", spiega. "Una legge superata", perché negli ultimi decenni la scienza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante in termini di innovazioni terapeutiche per i pazienti con diabete di tipo 1. "Sensori di monitoraggio della glicemia e nuove insuline hanno portato a una significativa riduzione del rischio delle ipoglicemie", sottolinea il professore. "Dispositivi che hanno reso questa patologia più gestibile e permettono le performance sportive di chi ha il diabete pari a quelle delle persone sane. Se non, a volte, superiori". Ne sono esempi campioni dello sport come Steve Redgrave, leggenda del canottaggio, e quella del tennis Alexander Zverev, che spesso vediamo fare l'insulina e misurare la glicemia prima delle competizioni. La proposta di legge, spiega il presidente FeSDI, vuole eliminare "una vera e propria discriminazione che può impedire ai bambini diabetici di sognare di diventare campioni dello sport". Diabete di tipo 1, scorretta informazione e falsi miti In Italia le persone con diabete tipo 2 sono infatti quasi 4 milioni, circa il 6% della popolazione, e si stima che possano aggiungersi a questo numero circa 1,5 milione di persone affette da malattia non ancora diagnosticata. Le persone con diabete di tipo 1 sono invece circa 300mila, lo 0,5% della popolazione. Di queste, circa 20mila sono bambini. Attorno al diabete di tipo 1, patologia di origine autoimmune, ruota ancora molta disinformazione. "Quando ho avuto l’esordio per tutti sembrava impossibile che potessi avere il diabete: ero in forma, avevo 18 anni, ed ero una sportiva. Se sei giovane e dici che hai il diabete sembra che tu non ti sia presa cura di te, quasi che te la sei cercata", spiega ancora Anna Arnaudo, sottolineando che nemmeno uno stile di vita sano può prevenirlo. "A volte le persone sconcertate quando mi vedono assumere zucchero, pensando che per noi sia vietato . Un altro falso mito legato alla confusione con il diabete di tipo 2, molto più diffuso, "è che i dolci siano vietati: somministrandoci la giusta quantità di insulina possiamo mangiare anche quelli". E, soprattutto, "non sono stati i dolci a farci venire il diabete".