Balbuzie, cos'è il "voice shaming" e come si combatte il bullismo sulla voce

“Al bar chiedevo sempre un caffè lungo perché la "L" era più semplice da pronunciare. In pizzeria, quando arrivava il mio turno per ordinare e tutti mi guardavano, finivo sempre per dire “anche per me”, optando per il gusto che aveva scelto qualcun altro.” La balbuzie influisce su ogni dettaglio della vita quotidiana, e l'immagine che meglio la rappresenta per le persone che la vivono è quella di una gabbia, dove la libertà di azione è estremamente limitata, racconta Giovanni Muscarà, ex balbuziente. La prima volta che la balbuzie ha rappresentato un problema per lui aveva sei anni. Frequentava la prima elementare quando e una compagna di classe quel giorno gli fece il verso: “co-co-co… Ma come parli? Sembri una gallina!”. Quella fu la prima di una lunga serie di derisioni legate alla sua “fatica” nel comunicare. Oggi Giovanni Muscarà è presidente dell’associazione Vivavoce, nata dall’esigenza di alcuni ex pazienti “di accendere un faro su tutti quei fenomeni di discriminazione che avvengono nei confronti delle persone che comunicano in un modo ritenuto non convenzionale”, racconta a Sky TG24 Insider in occasione della Giornata Internazionale della Consapevolezza sulla Balbuzie. “Ci battiamo perché nessuno venga discriminato a causa del suo modo di parlare”, spiega. E per farlo è nato un osservatorio dedicato proprio al “voice shaming”, giunto alla sua seconda edizione: solo in Italia sono oltre 200 mila i ragazzi oggetto di atteggiamenti e comportamenti discriminatori, quando non di veri e propri atti di bullismo. Ma non se ne parla. La sua storia di persona inizia alle elementari. Come sono stati gli anni della scuola? Difficili. Sono cresciuto vivendo situazioni di grande sofferenza per via dello scherno degli altri. La mia balbuzie non prevedeva solamente delle ripetizioni, ma anche degli spasmi e la perdita di controllo di alcune parti del corpo – come il collo e la testa – per cui era molto visibile, e oggetto di derisione. Quando quella compagna di classe mi derise presi consapevolezza del fatto che qualcosa non andava in me, nella mia voce. Prima che lo sguardo dell'altro glielo facesse notare, ne soffriva già a livello psicologico? No, devo dire che lo scatto emotivo è nato proprio a partire dalla derisione. E questo è il punto centrale sull’osservatorio del voice shaming che abbiamo creato: il primo osservatorio al mondo su questo fenomeno. L'obiettivo è creare un report annuale in cui andiamo a indagare con dei test e questionari il fenomeno, dando dignità scientifica al tema e dimostrando un problema che esiste. Per il modo di parlare si viene discriminati e in molti casi, purtroppo, anche bullizzati. Cosa è emerso dall'indagine? Quest’anno ci siamo concentrati sul fenomeno di voice shaming nei bambini tra i 7 e i 13 anni. Sette su 10 hanno affermato di aver subito episodi di discriminazione per il loro modo di comunicare. Il 61% ha dichiarato che il contesto principale in cui questi episodi si sono verificati è la scuola, e il 72% ha ammesso che avrebbe voluto ricevere l’aiuto di un adulto. Questo ci dimostra che manca una cultura a riguardo. Per costruirla portate avanti iniziative di sensibilizzazione. Esatto, ma non si può sensibilizzare se non a partire dalla consapevolezza che un problema esiste. Su questo insistiamo, perché invece siamo da sempre abituati a vedere sminuito il problema. Da dove creda che abbia origine la sottovalutazione? La balbuzie si banalizza perché si pensa sempre che abbia origine psicologica: “Sarà timido, fragile, non gestisce bene l’ansia…”, si pensa di chi balbetta. Quindi la nostra fatica viene filtrata da stereotipi e concezioni errate. Invece la scienza ha dimostrato che la balbuzie non ha una causa scatenante di tipo emotivo , ma di tipo neurologico. L’ansia è invece la conseguenza della balbuzie. Ha sofferto per le discriminazioni subite per il suo modo di comunicare? Molto. Essere derisi fa male. Oltre a generare frustrazione, può portare al soffocamento del desiderio di comunicare. Sono molti i casi in cui la balbuzie porta proprio all’autoesclusione e all’isolamento sociale. Io non mi sono mai abituato allo sguardo giudicante dell’altro. So che ha subito anche discriminazioni sul lavoro. Sì. A un colloquio nell’ambito della Finanza, quello in cui lavoravo, il manager mi disse: “Questo è un lavoro in cui bisogna gestire stress e ansia…”, stabilendo quindi a priori che io non potessi farcela. Non venni assunto sulla base di un pregiudizio. Quali sono i falsi miti più diffusi e radicati? Il più diffuso è che le persone balbettino a causa di un trauma, o che lo facciano le persone timide o ansiose, mentre questo è vero solo per una piccolissima percentuale di casi. La balbuzie non ha una causa di tipo emotivo. Oppure si crede erroneamente che alla base ci sia un problema prettamente linguistico, e quindi sia necessario soltanto l’intervento di un logopedista. Invece serve un approccio multidisciplinare, la balbuzie è una fatica della persona a 360 gradi. Oggi lei ha superato la balbuzie, cosa l'ha aiutata? Quando mi trasferii a Londra, quella della lingua era una difficoltà in più per il modo di comunicare. Chiesi aiuto a dei clinici. Oggi ho 42 anni e negli ultimi 13 sto vivendo una nuova vita, da quando ho il controllo di cosa dire e come dirlo. È importante far passare il messaggio che non è per sempre. E superarla significa eliminare quel condizionamento costante, quella domanda: “Ce la farò?”. Vuol dire essere liberi. Un fenomeno cognitivo multifattoriale: come si supera "La balbuzie è un fenomeno cognitivo complesso multifattoriale, che impatta sul nostro cervello e sul nostro sistema cognitivo. Non è una difficoltà puramente linguistica, né puramente psicologica, ma tocca più sfere della persona: aspetti motori, linguistici, psicoemotivi, cognitivi e comportamentali", spiega a Sky TG24 Insider Valentina Letorio, psicologa e responsabile dell'Area Balbuzie del Centro Vivavoce, sottolineando come "le teorie degli Anni '60 e '70 che vedevano la balbuzie come un problema principalmente emotivo, causato da un trauma, sono state confutate dalla scienza". Proprio perché si tratta di un fenomeno multifattoriale, spiega l'esperta, "la soluzione migliore per una riabilitazione efficace è una presa in carico integrata a 360 gradi della persona. Non lavorare quindi solo su aspetto psicologico o del linguaggio, ma su tutte le sfere interessate dalla balbuzie". E con un approccio adeguato si può risolvere: "Non è mai troppo tardi, non è un fardello da portare per tutta la vita". L'esordio nella fascia di età prescolare Ma a quanti anni può iniziare a manifestarsi la balbuzie? L'esordio di questa fatica, spiega la psicologa, è tipicamente prescolare, e in genere avviene attorno ai 33 mesi di età. "Bisogna sottolineare che i casi di remissione e di recupero sono molto alti: si aggirano attorno all’88%. Significa che ci sono tantissimi bambini sotto i sei anni che balbettano ma per la stragrande maggioranza di loro si tratta di fenomeni transitori che si risolvono spontaneamente senza bisogno di un intervento riabilitativo". Esistono anche casi in cui la balbuzie compare tardivamente, ma si tratta di rarità, spiega l'esperta. "Succede in seguito a eventi traumatici molto importanti". Mentre per quanto riguarda il genere, c'è una netta prevalenza maschile, con un rapporto di 4 a 1. Uno stigma forte, che si combatte a scuola Anche la psicologa Letorio, come il presidente dell'associazione Vivavoce, è un'ex balbuziente: "Dico spesso che sono una rarità, trattandosi di una fatica che riguarda principalmente gli uomini", scherza la dottoressa. "La mia sfortuna è diventata la mia professione: da anni lavoro su ciò che mi sono portata dietro per anni in prima persona". Ma ancora oggi il pregiudizio nei confronti delle persone con balbuzie resiste: "Il rischio è che porti alla derisione, fino al bullismo e all'emarginazione", spiega. "È per questo che con il nostro osservatorio sul voice shaming cerchiamo di fare informazione partendo dalla scuola, è il luogo dove questo tipo di episodi accadono. Occorre partire dalle fondamenta per creare una nuova cultura".