Period poverty e tampon tax: perché c'è ancora bisogno di parlare di mestruazioni

Sono 1,9 miliardi le persone nel mondo che ogni mese hanno le mestruazioni. Un numero esorbitante, eppure sull'argomento resiste ancora uno stigma profondo. Di ciclo mestruale non si parla mai in spazi pubblici, come non si parla delle molte discriminazioni che lo riguardano: difficoltà di accesso ai prodotti igienici, possibilità di perdere giorni di scuola o di lavoro, sentire sminuito dal personale medico il dolore mestruale, fino al dover sopportare commenti sessisti che contribuiscono a rafforazare il tabù che il ciclo nasconde. È per questo che l'organizzazione italiana indipendente WeWorld ha chiesto al collettivo di arte pubblica CHEAP di realizzare la campagna “Legalize Mestruazioni”: per rompere con un tabù ormai logoro e aprire una conversazione pubblica sui temi della giustizia mestruale. E con una fusione tra arte e attivismo hanno tappezzato le centralissime vie di Bologna con una serie di manifesti che hanno lo scopo di nominare l'innominabile: la parola "mestruazioni", appunto, che campeggia a lettere cubitali sui poster, aprendo un dialogo nello spazio pubblico della città su oltre 25 bacheche. “Legalize Mestruazioni” mette al centro i diritti mestruali come diritti umani, parla di tampon tax, interpreta come forma equa di welfare il congedo mestruale, promuove il superamento della povertà mestruale chiedendo giustizia per le persone che hanno le mestruazioni. “Non se ne deve parlare, non vanno nominate. Quando le abbiamo, le dobbiamo nascondere. Se stiamo male, non possiamo dirlo. Sembra un romanzo di Chuck Palahniuk e invece sono le nostre mestruazioni di cui molto semplicemente non dovremmo parlare. E ancora, non sono professionali, non sono sexy, non sono pulite, non sono interessanti. Non riguardano tutti, sono una “cosa da donne”. A questo punto, ci è venuto il dubbio che non fossero nemmeno legali: da qui il titolo della campagna, Legalize Mestruazioni”, spiega il collettivo. EnCICLOpedia, la prima indagine sulla povertà mestruale in Italia Quello della "giustizia mestruale" è un tema cruciale per l'uguaglianza di genere e per la salute di milioni di persone nel mondo che va affrontato, spiegano da WeWorld, attraverso una serie di azioni concrete. Tra le iniziative chiave, oltre alla campagna di manifesti, spicca anche il Manifesto per la Giustizia Mestruale, articolato in sei passi per promuovere la giustizia mestruale in Italia. Inoltre, WeWorld ha realizzato, in collaborazione con Ipsos, "EnCICLOpedia", la prima indagine sulla povertà mestruale condotta in Italia. "Volevamo realizzare una pubblicazione che parlasse a più persone possibili con un approccio quantitativo ma anche qualitativo, perché dietro ai numeri ci sono sempre le persone", spiega a Sky TG24 Insider Martina Albini, coordinatrice del centro studi We World. "E abbiamo rilevato che in Italia c'è un problema di accesso ai prodotti di igiene mestruale. Si tratta di dati inediti, perché nel nostro Paese il tema della povertà mestruale e delle barriere socioeconomiche e culturali che impediscono alle persone di viverle con dignità non era mai stato esplorato". Che cosa è emerso dalla vostra indagine sul nostro Paese? Alcuni dati sono preoccupanti: In Italia quasi 1 persona su sei non può permettersi di acquistare prodotti mestruali come assorbenti, tamponi o coppette. E una su 7 ricorre alla carta igienica per la gestione del sanguinamento. Sono storie che ci sono state raccontate. Mentre quando pensiamo alla "period poverty" immaginiamo sempre Paesi del terzo mondo. Un altro dato che fa riflettere è che nonostante le persone intervistate abbiano dichiarato di perdere mediamente 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro in un anno a causa delle mestruazioni e del dolore provocato, 1 uomo su 5 si dice convinto che parlare di mestruazioni al lavoro sia poco professionale, 2 su 5 non si sentono mai o solo raramente a proprio agio a pronunciare le parole “mestruazioni” e “ciclo mestruale”. Il ciclo mestruale è ancora evidentemente un tabù. Per questo avete lanciato una campagna provocatoria? Sì, ci siamo chiesti e chieste cosa poter fare tutti insieme per combattere lo stigma e la risposta è stata solo una: "Parlarne". Nel 2024 le mestruazioni sono ancora viste come qualcosa che va nascosto, di poco igienico. L'idea è stata quindi quella di portare in uno spazio pubblico – il centro di una grande città – un argomento da sempre visto come privato. Quindi una rivendicazione per dire che non deve essere più invisibile. A maggior ragione perché è un tema che riguarda la salute. La campagna si chiama "Legalize mestruazioni". Come mai la scelta del verbo "legalizzare"? Non chiamiamo mai le mestruazioni con il proprio nome. Diciamo sempre "in quei giorni", "le mie cose", o "quando sei indisposta". Così ci è venuto il dubbio che fossero illegali! Il verbo "legalizzare" è ovviamente una provocazione, per affermare che dobbiamo occuparcene. È una questione di welfare e di salute pubblica. E un tema legato anche alla partecipazione sociale. Che cos'è la "giustizia mestruale"? Èun concetto strettamente legato a quello della povertà mestruale . La povertà mestruale non riguarda solo tutte quelle persone che non hanno accesso, per diverse ragioni, ai prodotti mestruali , all’acqua, a spazi e strutture adatte a gestire le mestruazioni. Ma non è solo una questione di costi: "giustizia mestruale" significa riconoscere che quando parliamo di mestruazioni parliamo anche della possibilità che hanno le persone di decidere per il proprio corpo e di vivere con dignità il ciclo mestruale, oltre a partecipare a tutte le occasioni sociali in una società non a misura di mestruazioni. Anche dover rinunciare a praticare sport o a uscire sono manifestazioni di povertà mestruale. Ma se non si parla di mestruazioni, si parla ancora meno di "period poverty". Invece bisogna pensare che nel nostro Paese ci sono bambine che hanno mestruazioni molto dolorose e vivono in famiglie non hanno le risorse economiche per provvedere ai prodotti mestruali: ricordiamo che in Italia una persona su 10 è in povertà assoluta. E così molte non vanno a scuola perché rischiano di macchiarsi e di essere prese in giro dai compagni. Ricordiamoci anche che veniamo da secoli di stigma e credenze popolari sul tema. Siamo state abituate a una narrazione edulcorata, anche nelle pubblicità? Decisamente. Con la nostra indagine abbiamo scoperto che ci sono voluti oltre 50 anni per sentire finalmente la parola "mestruazioni" in uno spot in Italia. La prima volta dagli Anni '70 è accaduto oggi, nel 2024. Fa riflettere, no? Trattandosi di temi di salute pubblica e welfare, dovremmo invitare anche gli uomini a interessarsi al tema? Certo che sì: gli uomini rappresentano ancora uno zoccolo duro quando parliamo di questi temi. Ma abbiamo bisogno degli uomini, innanzitutto perché moltissimi di loro fanno politica, e devono capire che i prodotti mestruali sono beni essenziali, di cui non si può fare a meno. Per questo dovrebbero essere gratuiti almeno nelle scuole e all'interno degli edifici comunali. E poi una conversazione libera da stigma deve essere partecipata da tutti e tutte. Non solo: anche le bambine dovrebbero iniziare a poter contare anche sui padri e non solo sulle madri quando si tratta di mestruazioni. Un altro nodo è quello della tampon tax, la tassa sui prodotti mestruali come assorbenti, tamponi, coppette. Il ciclo viene ancora considerato come un "lusso"? Purtroppo sì, e in Italia WeWorld ha sempre sostenuto l’eliminazione della tampon tax. Con la nuova legge di Bilancio 2024, la tassa è stata riportata al 10% dopo una riduzione al 5% nel 2022 – prima era al 22%. È una vera e propria forma di discriminazione che colpisce le persone con un ciclo mestruale. Una violazione della giustizia sessuale e riproduttiva. Il Manifesto per la Giustizia Mestruale 1. Chiamiamole con il loro nome, chiamiamole tutt3. Quante volte hai sentito dire “ho le mie cose”? Il primo passo per rompere lo stigma è nominare e parlare di mestruazioni in maniera corretta, positiva e non-giudicante, così come di peri-menopausa e menopausa, senza usare eufemismi. Dobbiamo, però, rendere questa conversazione inclusiva: non solo chi ha le mestruazioni, tutt3, compresi gli uomini, dovrebbero parlarne. 2. Il ciclo mestruale non è un lusso: IVA 0%. La Tampon Tax è un’ingiustizia che colpisce tutte le persone con il ciclo mestruale. WeWorld sostiene da tempo l’abolizione dell’IVA e la gratuità dei prodotti mestruali, con la campagna #FermaLaTamponTax. 3. Prodotti mestruali gratuiti in tutte le scuole ed edifici pubblici. Avere prodotti mestruali gratuiti e disponibili per chiunque è una questione di salute pubblica e di diritti umani, che permette di combattere la povertà mestruale e vivere le mestruazioni con dignità. Per questo dovrebbero essere disponibili in scuole, presidi comunali, uffici postali e altri luoghi pubblici. 4. Educazione sessuo-affettiva nelle scuole. Non può esserci giustizia mestruale senza corretta informazione e consapevolezza di sé e del proprio corpo. Un’educazione completa di tutti gli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della salute sessuale e riproduttiva, compresa quella mestruale è un intervento preventivo fondamentale. Per prendere decisioni consapevoli sui propri corpi, sviluppare relazioni sociali e sessuali rispettose e assicurare la giustizia mestruale, si passa da qui. 5. Prendiamoci cura. La nostra salute mestruale ci dice tanto della nostra salute complessiva, per questo è importante prendersene cura e monitorare eventuali anomalie. Molte persone, però, vivono dolori invalidanti. Per questo, chiediamo di inserire la sindrome premestruale e le altre patologie legate al ciclo mestruale tra i Livelli essenziali di assistenza , in modo che la loro cura sia garantita dal Servizio Sanitario Nazionale, come fatto per l’endometriosi. 6. Congedo mestruale. Questa forma di congedo concede alla persona con mestruazioni la possibilità di prendere ferie o di usufruire di giorni di malattia extra e retribuiti dal proprio impiego e/o lavorare in maniera flessibile. Diversi paesi, come Spagna, Giappone, Korea del Sud, lo hanno già adottato, mostrando come i luoghi di lavoro possano riconoscere e validare le diverse esigenze ed esperienze delle persone che hanno le mestruazioni.