"Equità tra Nord e Sud del mondo", l'appello di Amref al G7 Salute

L’appuntamento è in un hotel del centro di Nairobi, dove Githinji Gitahi, Direttore globale di Amref, ha concentrato una serie di impegni, tutti nel solco dell’instancabile impegno di Amref, organizzazione non governativa nata in Kenya sulle ali dei Flying doctors, chirurghi volanti che portavano i loro strumenti su biplani in giro per l’Africa e oggi radicata in tanti Paesi africani, ma non solo. L’occasione per parlare è il G7 Salute, nell’anno in cui i G7 si tengono in Italia e Gitahi parte subito da qui, da un appello da rivolgere direttamente ai decision makers riuniti ad Ancona. "Sono molto numerose le crisi che stanno affliggendo la salute delle persone del mondo, e in particolare in Africa, dove il peso delle malattie rimane ancora significativamente sproporzionato rispetto al resto del mondo e anche alla sua popolazione. L'Africa ha ancora il 25% del peso globale delle malattie; quindi, solo il 17% della popolazione globale prende su di sé il peso per il 25%. E questa situazione sta peggiorando a causa di diversi fattori. Uno è che stiamo assistendo a cambiamenti demografici che spingono sempre più persone a trasferirsi nei centri urbani. Una volta arrivati nelle grandi città, i loro nuovi posti di lavoro, i mezzi di sussistenza, l'acqua e i servizi igienico-sanitari non sono adeguati. Poi abbiamo davanti agli occhi una crisi climatica che sta sconvolgendo i sistemi sanitari. Stiamo assistendo a crescenti sfide legate al denaro disponibile per la sanità, cioè i fondi che i governi possono destinare alla sanità, a causa di una crescente crisi del debito. Esiste un quadro globale creato per la solidarietà, per riunire tutte queste cose in modo che il mondo possa essere ugualmente sano con l'equità al centro, che è in realtà il principio alla base degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e in particolare dell'obiettivo di sviluppo numero tre: una buona vita e il benessere per tutti. Ecco, dobbiamo vincere la sfida che riguarda questa architettura sanitaria globale, con le crescenti sfide che ci sono là fuori. Noi, come Amref, come organizzazione con sede in Africa, vogliamo inviare il messaggio che l'equità in un'architettura sanitaria globale, nella disponibilità di prodotti sanitari, nella sicurezza sanitaria, deve essere al centro delle conversazioni, comprese le conversazioni sul trattato sulla pandemia, su come trattiamo le pandemie. L'equità deve essere al centro e dobbiamo effettivamente concentrarci su tutti coloro che sono stati lasciati più indietro, specie nel continente africano. Questo è il messaggio per noi". Ha fatto cenno alle pandemie. La pandemia di Covid-19 ha dimostrato al mondo che non siamo preparati ad adattarci. A che punto siamo secondo lei nella nostra capacità di affrontare una nuova pandemia? Abbiamo migliorato la nostra capacità di prepararci alla prossima pandemia? "Non stiamo migliorando. Lo dico chiaro. Mi spiego meglio: per cominciare, qualunque cosa noi chiamiamo pandemia, inizia con un singolo caso da qualche parte in un villaggio, in una comunità. È quel piccolo caso che poi aumenta ed esplode fino a diventare una pandemia. In questo momento, mentre parliamo, abbiamo un'epidemia di virus di Marburg in Ruanda. Abbiamo una pandemia di Mpox, o vaiolo delle scimmie, che è già uscita dai confini della Repubblica Democratica del Congo. Abbiamo i casi di Ebola che dall'Africa occidentale minacciano il resto del mondo. Ogni pandemia inizia con un singolo caso in una comunità. Ora, il sistema di quella comunità che si occupa di quel singolo caso deve essere in grado di identificare il caso in tempo, rispondere fornendo il diritto alla capacità diagnostica di identificare con certezza il caso, il trattamento giusto e la risposta giusta per garantire che non si diffonda oltre. Questo è un fattore del sistema sanitario che circonda le comunità. Ora, se il sistema sanitario delle nostre comunità non sta migliorando, allora non stiamo migliorando la nostra capacità di affrontare le pandemie. E questo è il vero problema. Se si guarda ora al continente africano, dove assistiamo a epidemie sempre più frequenti di diverse malattie, sappiamo che l'intero sistema sanitario è investito. E perché? Perché i governi non possono permetterselo. Guardiamo all'economia dell'Africa. Il PIL è il 3% del PIL globale e riguarda il 17% della popolazione. Se si guarda alle economie in Europa e altrove, le economie sono adeguate per prendersi cura della popolazione. Ma in Africa, l'economia non è sufficiente per prendersi cura della salute della popolazione. I governi africani investono meno di 50 dollari a persona all'anno, mentre in Europa, ad esempio, si tratta di circa 4.000 dollari a persona all'anno. Quindi quel divario è 100 volte maggiore. Ciò significa che non puoi avere abbastanza operatori sanitari, non puoi avere abbastanza prodotti e tecnologie sanitarie e non puoi avere abbastanza strutture per servire le persone per rispondere ai rischi della pandemia. E questa è la necessità per noi di crescere a livello globale per considerare il problema della sicurezza sanitaria non come un problema specifico per un solo Paese. Questo è il motivo per cui chiediamo solidarietà ed equità, perché vediamo che una minaccia per la salute in un villaggio è in realtà una minaccia pandemica nel mondo. E non stiamo vedendo progressi sufficienti. C'è da aggiungere che ci sono state conversazioni sul trattato sulla pandemia. Ci siamo riuniti e ci siamo detti: non ripeteremo gli errori del Covid-19. Faremo in modo che tutti siano al sicuro ovunque si trovino. Non faremo discriminazioni, né ci concentreremo solo sui nostri cittadini. In ogni Paese vedremo la sicurezza sanitaria come una responsabilità condivisa. E il trattato sulla pandemia, che doveva essere firmato presso l'Organizzazione mondiale della sanità, non è stato firmato. Perché non è stato firmato? Perché non c'era equità. In verità c'erano Paesi che erano più concentrati sulla protezione dei profitti dell'industria, mentre i profitti sono importanti per la ricerca e lo sviluppo, per gli investimenti in nuove ricerche. Le vite devono sempre essere al primo posto. Ed è per questo che il trattato sulla pandemia non è stato firmato, perché le persone del Sud del mondo, e specialmente dell'Africa, hanno affermato che se non c'è equità, e l'equità è il primo principio del trattato, allora non lo firmeranno. Ma abbiamo visto che i paesi originari insistevano nel proteggere l'industria. Quindi non siamo affatto più vicini a lavorare dove vogliamo essere. Il trattato sulla pandemia non è stato firmato. Una pandemia di Mpox ci ha trovato senza un trattato sulla pandemia. Quindi non possiamo dire di essere in qualche modo migliori rispetto a quando eravamo durante il Covid-19". Questo tipo di disuguaglianze, la sproporzione tra il Nord e il Sud del mondo, mi portano alla domanda successiva: le minacce che gravano sulla salute devono essere affrontate con uno sguardo più ampio. Si parla sempre più spesso di One Health. Le dispiacerebbe spiegare qual è l'essenza dell’approccio One Health? "Il mondo è interconnesso. Sappiamo che la salute umana dipende da quella dell’ambiente e così anche quella degli animali. E la salute animale e quella umana sono interdipendenti. Perché? A causa della catena alimentare, del modo in cui vivono le persone, della competizione per le risorse. Perché ogni organismo vivente sta cercando di competere per le risorse per propagarsi. Pertanto, se ci concentriamo solo sulla salute umana e, ad esempio, diciamo che gli esseri umani hanno bisogno di mangiare carne e poiché la carne non è sufficiente, allora utilizziamo antibiotici per assicurarci di avere abbastanza carne per gli esseri umani. Alla fine otterremo uno squilibrio, perché parliamo di antibiotici che gli esseri umani stanno usando ora. Vengono utilizzati negli animali e quindi l’uomo svilupperà antibiotico-resistenza. Parallelamente alla crescita delle popolazioni, dipendiamo dall'ambiente per le verdure, per il cibo. Quindi occorre realizzare che, a meno che l'ambiente non sia sano, a meno che gli animali non siano sani, gli esseri umani non saranno sani e viceversa. Puoi capovolgere quel triangolo in qualsiasi modo. Ci torna d’aiuto per capirlo meglio quello che è successo in Congo: l'interazione tra gli esseri umani e l'ambiente stesso, quello dove vivono gli animali, come le scimmie, è andata fuori dai binari. Gli esseri umani stanno invadendo quelle foreste a causa della domanda di energia. C'è scarsità di energia, domanda di cibo, scarsità di cibo e scarsità d'acqua. Virus e batteri che vivono negli animali sono diversi da quelli che vivono negli esseri umani. Non avrei mai pensato alla possibilità di interscambio. Ma quell'interazione ha fatto sì che agenti patogeni abbiano attraversato i confini tra animali ed esseri umani. L'essenza di One Health è dire che dobbiamo prestare attenzione alla salute umana, all'ambiente, alla salute e alla salute degli animali". Parlando di disuguaglianze, la crisi climatica sta stressando tutta la popolazione mondiale, ma soprattutto in Africa, stimata in 700 milioni di persone che dovrebbero essere colpite se non facessimo nulla per la mitigazione. Anche le politiche di adattamento forse non basteranno e le disuguaglianze saranno sempre maggiori. In Africa la salute è messa a dura prova specialmente dagli stress idrici, inondazioni e siccità, due facce della stessa medaglia? "Il vero volto della crisi climatica deve essere contato con la salute umana. Vite salvate o vite perse, vite in difficoltà. E’ così che deve essere conteggiato. Possiamo anche contarlo con le emissioni di carbonio o in termini di temperatura. Ma il vero conteggio che vale è la salute umana. La disuguaglianza portata dalla crisi climatica può essere definita con semplici numeri: oggi una persona africana emetterà in media circa una tonnellata di carbonio l’anno. Una persona in Italia ne emetterà circa 5 tonnellate nello stesso anno. Qualcuno negli Stati Uniti emetterà 14 tonnellate nello stesso anno. L'impatto di queste emissioni è il riscaldamento globale, l'impatto del riscaldamento globale è costituito da eventi meteorologici avversi che portano alla siccità, alle inondazioni, all'espansione dei modelli di malaria, a nuove epidemie di malattie. Ma quando succedono queste cose, quando si verificano eventi meteorologici estremi e ci sono inondazioni e caldo estremo e le persone possono mangiare, non ci sono sconti. Non si arriva a dire che hai contribuito solo per una tonnellata, quindi il tuo impatto sarà minore. Hai contribuito con 14 tonnellate, quindi sarai più alto. Tutti ricevono lo stesso impatto. È qui che rimane la disuguaglianza in Africa, dove saranno colpite quelle 700 milioni di persone. Il loro contributo alle emissioni globali è minimo. In effetti, se si guarda alle emissioni totali per il continente africano, sono circa il 3%, più o meno. Quel 3% è in realtà limitato a due paesi principali, il Sudafrica e l'Egitto. Quindi il resto della gente emette davvero molto, molto poco. Ma l'impatto che si ha in Malawi è che migliaia di persone muoiono, migliaia si ammalano di colera e i loro bambini vengono effettivamente ricoverati in ospedale e muoiono. Ci sono ospedali che vengono spazzati via. In Kenya, famiglie che si svegliano di notte e scoprono che le loro case sono state spazzate via e 50 persone sono morte e 150.000 sono state sfollate. Ma non capiscono cosa sta succedendo perché il loro contributo a questo problema è minimo. Purtroppo le persone che stanno emettendo stanno discutendo della mitigazione. Non stanno parlando di adattarsi alle condizioni esistenti che sono già state create per le comunità che si trovano nel Sud del mondo, le comunità povere che in realtà non hanno un contributo significativo a questa crisi. Quindi dobbiamo effettivamente rifocalizzare la discussione e dire che dobbiamo concentrarci sia sulla mitigazione che sull'adattamento con approcci differenziato. Ciò non significa che in Africa ciò non presterà attenzione al futuro di un mondo equilibrato. Sappiamo che dobbiamo usare energia rinnovabile. E noi, la coalizione africana, ne siamo consapevoli. Ma nel frattempo, cosa facciamo per l'impatto sproporzionato e iniquo? Dobbiamo parlare di Loss&Damage. Dobbiamo discuterne. Se inquini, paghi. E questa è la conversazione intorno alla COP secondo cui se si inquina si paga. Ma stiamo vedendo che i paesi ricchi si rifiutano di pagare per l'inquinamento. E quello che stanno facendo invece è incoraggiare l'industria ad andare in Africa e fare lo scambio di crediti, lo scambio di crediti di carbonio. Comprare una foresta e dire: non posso emettere il più possibile perché sto pagando per mantenere queste foreste. Invece di tassare effettivamente il carbonio. Sto dicendo che devi ridurre le tue emissioni di carbonio, non compensare le emissioni di carbonio acquistando foreste in un paese povero. Il Loss & Damage Fund, i 100 miliardi all'anno che sono stati richiesti, include il miglioramento dei sistemi sanitari di cui abbiamo parlato prima. Assicurarsi che tutti i sistemi sanitari siano in grado di proteggere le persone, che siano abbastanza resistenti, che ci siano vaccini adeguati per la malaria, in espansione, che ci siano acqua e servizi igienici adeguati, che quando si verificano le inondazioni, il colera non divampi. E anche quando ciò accade, la vaccinazione per molte persone sia disponibile". Parlando di disuguaglianze, una delle peggiori è il modo in cui la crisi climatica sta interagendo e peggiorando la condizione delle donne. So che lei è molto attento al tema e si adopera per diffondere consapevolezza su questo tipo di problema. "Amref è presente in 40 paesi africani e secondo la nostra esperienza, le donne e le ragazze sono il volto del sistema sanitario. E il sistema sanitario che risponde alle donne e alle ragazze è il sistema sanitario che risponde all'intera comunità. Quindi sappiamo che le donne sono le persone che richiedono di più dal sistema sanitario. E anche le donne, d'altra parte, sono le badanti e le caregiver nelle loro comunità. E quello che abbiamo visto è che la crisi climatica ha un impatto sia sul sistema sanitario che sull'incapacità di soddisfare i bisogni delle donne, ma allo stesso tempo ne risente anche la natura premurosa e il ruolo premuroso nella comunità. Quindi iniziamo esaminando solo il ruolo delle donne nella comunità nella maggior parte delle comunità in Africa. Le donne sono quelle che forniscono cibo, forniscono acqua. Sono loro che accudiscono i loro figli. Sono loro che hanno bisogno di acqua quando vanno in clinica e devono allattare i loro bambini, devono lavarsi le mani per evitare che i bambini contraggano la polmonite e soffrano di diarrea. Con la crisi climatica la scarsità d'acqua porta le donne a cercare acqua sempre più lontano. Lo fanno camminando otto ore al giorno, affrontando pericoli estremi di violenza di genere lungo la strada. Ma poi stanno anche affrontando pericoli estremi di violenza di genere a casa, da parte dei loro partner. In quelle comunità, a causa della scarsità di cibo, della scarsità di acqua, ad esempio la comunità Masai, quando manca l'acqua, il loro bestiame è in pericolo e il bestiame muore. E quello che fanno per procurarsi più bestiame è prendere le ragazze più giovani della famiglia e farle sposare giovanissime, come scambio commerciale in cambio di mucche e altro bestiame, per continuare a nutrire la loro famiglia. Quindi diventa una questione economica e una questione di educazione delle ragazze e propagazione della povertà intergenerazionale. Abbiamo visto che la crisi climatica è la causa dell'aumento delle mutilazioni genitali femminili nelle comunità che la praticano. Le mutilazioni genitali femminili sono un fattore scatenante per i matrimoni precoci: quando queste ragazze subiscono le mutilazioni genitali femminili, possono sposarsi presto e ci può essere uno scambio di dote e quindi gli uomini possono procurarsi delle mucche. Quindi aumenta in modo significativo la violenza di genere contro le donne. Abbiamo visto ragazze giovani che, quando perdono il cibo e vivono in totale povertà, praticano lo scambio sessuale con il cibo. Quindi l'impatto della crisi climatica, se è vero che è sproporzionato tra il Nord e il Sud del mondo, è ancora più sproporzionato per donne e ragazze. E questo riguarda tutta la loro vita, non solo la loro salute, ma anche i loro mezzi di sussistenza, la loro istruzione. E questo è qualcosa che deve essere risolto".