L'aumento dei livelli di una proteina, la PI3K-C2a, sarebbe correlato a un incremento della probabilità di metastatizzazione del tumore primario. È quanto emerso da uno studio condotto presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino
Nuovi passi in avanti nella lotta contro i tumori. Un nuovo studio condotto presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino ha scoperto una possibile nuova causa di rischio di metastasi del tumore al seno, che rappresenta ancora oggi la causa principale dei decessi correlati alla patologia, nonostante l'ampio miglioramento del tasso di sopravvivenza ottenuto con i trattamenti attualmente disponibili. Nello specifico, dall'analisi, condotta su oltre 2000 pazienti con cancro al seno e pubblicata sulla rivista internazionale Advanced Science, è emerso che l'aumento dei livelli di una proteina, la PI3K-C2a, sarebbe correlato a un incremento della probabilità di metastatizzazione del tumore primario.
Lo studio nel dettaglio
"L'aumentata l'attività lipide-chinasica della proteina PI3K-C2a sarebbe in grado di indurre un cambiamento nella struttura delle cellule tumorali, promuovendo l'insorgenza di caratteristiche pro-migratorie. In questo modo, la cellula tumorale diventa capace di "staccarsi" dalla massa tumorale primaria, muoversi all'interno del sistema circolatorio, aumentare l'infiltrazione dei tessuti e generare metastasi", hanno spiegato i ricercatori.
In particolare, lo studio, condotto da Federico Gulluni, Huayi Li e Lorenzo Prever, ricercatori del laboratorio di Emilio Hirsch, e sostenuto da Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, ha individuato il meccanismo molecolare che consentirebbe alle cellule di migrare e metastatizzare.
Il meccanismo che permette alle cellule di migrare
Il team di ricerca ha evidenziato come la cascata di segnalazione intracellulare attivata da elevati livelli di PI3K-C2a porti all'inattivazione funzionale di uno dei principali regolatori della migrazione cellulare, la proteina R-RAS. Questo processo migratorio, come dimostrato da un esperimento condotto su modelli murini e pesci zebra, potrebbe essere bloccato utilizzando un inibitore selettivo, capace di limitare il funzionamento della proteina PI3K-C2a. Come sottolineato dai ricercatori, saranno ora necessari ulteriori studi preclinici e clinici per confermare i dati ottenuti in laboratorio.