Parkinson, 7 molecole nel sangue potrebbero aiutarne la diagnosi
Salute e BenessereUna collaborazione italiana rivela che la concentrazione nel sangue di alcuni lipidi è ridotta nei pazienti affetti dalla malattia. In futuro, il Parkinson potrebbe essere rilevato con un semplice prelievo
La diagnosi del morbo di Parkinson può avvenire grazie a sette molecole provenienti dalla flora batterica intestinale e presenti nel sangue che fungono da ‘spie’, segnalando la presenza della malattia. La scoperta descritta sulla rivista Metabolomics è frutto di una collaborazione tutta italiana tra l’Istituto italiano di Tecnologia di Genova (IIT), la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e la Fondazione Santa Lucia di Roma. Ad agire da indicatore sarebbero alcuni lipidi chiamati Nape, la cui concentrazione risulta significativamente minore nei pazienti affetti da Parkinson, in particolare nelle donne.
Il legame tra i lipidi e il Parkinson
Il team coordinato da Andrea Armirotti e Angelo Reggiani dell’IIT ha osservato l’associazione tra le molecole prodotte dalla flora intestinale e il morbo di Parkinson dopo aver preso in considerazione le analisi del sangue di 587 persone. Di questo gruppo, 268 soggetti erano affetti dalla sindrome neurodegenerativa. I ricercatori hanno quindi notato come i pazienti malati presentassero una concentrazione ridotta del 15% di sette specifici lipidi, chiamati Nape. Queste molecole, incaricate normalmente di proteggere la struttura delle cellule, tenderebbero dunque a diminuire in caso di danni ai neuroni, che prelevano i Nape dal sangue. Il metodo ha un’efficacia che tocca il 90% nelle donne, nelle quali “per ragioni attualmente sconosciute questo calo è molto più marcato”, spiega Armirotti.
Diagnosticare il Parkinson con un prelievo
La scoperta effettuata dai ricercatori potrebbe aprire nuove strade nella cura della malattia poiché, come afferma Armirotti, “questi lipidi, facili da misurare con un semplice prelievo di sangue, potrebbero diventare in futuro un indicatore per la diagnosi del Parkinson”. Attualmente, tuttavia, rimangono da chiarire alcuni aspetti fondamentali: gli scienziati puntano a comprendere le tempistiche con le quali la concentrazione di Nape si riduce nel sangue, oltre al tempo trascorso prima della comparsa dei sintomi iniziali del Parkinson. Secondo gli autori le molecole scoperte, che sono legate comunque all’alimentazione, indicano i danni al sistema nervoso: Armirotti sostiene che in futuro il calo di concentrazione potrebbe essere risolto provando a “programmare dei batteri intestinali ingegnerizzati per indurli a produrre questi lipidi”.