Meloni–Schlein, uno a zero per la premier

Nella sfida con la Schlein, il primo round lo vince Meloni In politica contano i tempi, ma contano anche i modi. Sono l’ossatura della strategia che serve per tenere, amplificare e gestire il proprio consenso. Ecco allora che guardando alle 24 ore del possibile confronto ad Atreju tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein viene facile dire che la prima ha azzeccato tempi e modi, mentre la seconda ha sbagliato sia gli uni che gli altri. Riavvolgiamo il nastro e proviamo a capire cosa è successo. Fratelli d’Italia, come ogni anno a dicembre, organizza la propria kermesse di partito. Cresciuta nel tempo, con l’ascesa di Meloni a Palazzo Chigi, diventa uno snodo cruciale dell’annata politica. Comunque riscaldamento. Come per le Feste dell’Unità, almeno quelle dei vecchi DS, si invitano amici e nemici per un momento di confronto. Non è un semplice “beau geste”, ma uno dei valori fondanti la politica: porto il mio pensiero laddove non è condiviso, mi faccio ascoltare, ascolto gli altri. Che è poi l’humus della democrazia parlamentare, provare a fare sintesi. Ad Atreju viene invitata la segretaria del Pd, nonostante anche l’anno precedente avesse declinato, dicendo no grazie. Come lei tutti gli altri leader di opposizione che di buon grado accettano. Elly Schlein invece pensa bene di sfruttare l’invito per provare a sbrogliare le beghe all’interno della sua coalizione. Invece di cogliere l’opportunità di andare davanti ai meloniani per provare a fargli capire che poi la loro leader non ha mantenuto tutte le promesse che aveva loro fatto, invece di andare a fare politica nel senso stretto del termine, immagina di usare Atreju per certificare ciò che certificato non è, ossia che lei è la leader unica dell’opposizione, futura “sfidante premier” di Giorgia. Vale anche qui la pena fare un’ulteriore digressione. Al netto delle tante filastrocche sul campo largo, sul quanto siano uniti anche se disuniti, il nodo che non si riesce a sciogliere nel centrosinistra sono la convinzione e l’ambizione di andare a Palazzo Chigi che nutrono tanto lei quanto Giuseppe Conte. Ma il problema si può risolvere facilmente. Come? Condizionando la partecipazione ad un faccia a faccia con Meloni. I suoi consiglieri sono in brodo di giuggiole. Qualcuno parla addirittura di “mossa geniale”. Così facendo tutti si faranno la bocca a ciò che verrà, si potranno godere in anteprima la sfida delle prossime elezioni. Ma soprattutto, così facendo, l’avvocato del popolo, alias Giuseppe Conte, capirà come stanno le cose e riporrà nel cassetto le proprie aspirazioni. A questo si aggiunge la convinzione che Meloni di fronte ad un aut aut di questo tipo, non sarebbe mai potuta “fuggire”. Due piccioni con una fava, avrà pensato qualcuno: chiariamo senza primarie, ma con la legittimazione della premier, chi è l’antagonista reale. Peccato che questa fine strategia non abbia fatto i conti tanto con Meloni quanto con Giuseppe Conte. Meloni da un lato non ha alcun motivo per porsi al servizio della risoluzione delle controversie interne ai suoi avversari. Perché mai dovrebbe fare questo favore? E soprattutto: perché dovrebbe “incoronare” Schlein come sfidante unica, proprio ciò che vuole evitare? Conte dall’altro capisce al volo il trucco, e non ci pensa nemmeno due volte a mettersi di traverso: “L’ho già chiesto io un anno fa, se uno fa il confronto e l’altro no, il format non è più uguale per tutti”. Il successore di Grillo sembra poi rivendicare un diritto maggiore al faccia a faccia che non l’alleata: “ mentre Elly fa gli accordi col governo - dicono i grillini - Conte ogni giorno è oggetto di critiche e accuse da Meloni, questo è il confronto di cui c’è bisogno”. In mezzo gli altri alleati non aiutano. Bonelli dei Verdi che accetta l’invito e si dice pronto al confronto con Urso. Il compagno Fratoianni di Sinistra Italiana invece lo rifiuta - “confronto solo in parlamento” - e comincia a premere su Elly affinché anche lei faccia marcia indietro. A Meloni non par vero. Capisce subito che nemmeno sulla partecipazione ad un dibattito il campo largo riesce a presentarsi come tale. Lascia che se le suonino tra di loro per 24 ore. Poi fa quello che nessuno nel Pd ha fatto. Fa mettere i suoi in contatto con Conte e chiede se lui direbbe sì anche ad una cosa a tre: “Lui e Schlein contro di lei, da sola”. Invece di dire no, l’avvocato dice subito sì. Per lui l’obiettivo è evitare che si dia anche solo l’idea di una leadership definita nel centro sinistra, perché a quella leadership punta lui. Ecco allora che fermare Schlein diventa più importante di qualsiasi altra cosa. Accordo fatto, per Meloni strada spianata. La premier esce sui social: “sì al confronto, ma con tutti e 2. Conte non ha mai posto condizioni, in assenza di una leadership unica, facciano un confronto unico”. Per Schlein è una portellata in faccia. Smontata la “genialata”, montata la guerra interna. Alla segretaria del Pd non resta che buttarla in caciara. Fa finta che il suo problema sia Meloni e non Conte, e grida allo scandalo: “allora invitiamo anche Salvini e facciamo un confronto di coalizione”. Salta tutto, ma saltano anche i nervi dentro il Pd, dove i 3/4 del partito avevano già bollato come una mossa poco accorta quella immaginata dalla segretaria e dal suo inner circle. La campagna elettorale si apre quando tutti gli accordi sono chiusi, ora si può solo fare campagna elettorale, e l’unica via era andare ad Atreju e provare a mettere in luce il proprio lavoro e le eventuali contraddizioni del governo. Ma la preoccupazione era un’altra : mettere da parte Conte, provare a strappare un’investitura, come se questo potesse nascere in un quarto d’ora di dibattito sotto l’albero di Natale, a fianco di una pista per pattinare sul ghiaccio. Ora è inutile provare a correre ai ripari gridando che “Meloni scappa” quando e’ Schlein che è “scappata” dalle proprie responsabilità. Non tanto quelle di Atreju, bensì quelle di decidere che tipo di rapporto avere con i 5 Stelle. Perché non si può far finta di andare d’accordo ad un comizio, salvo poi essere in disaccordo su tutto ogni giorno in parlamento. Qualcuno dice che governare l’opposizione è più difficile di governare un paese. Probabilmente e’ vero . Ma è altrettante vero che i problemi non si risolvono farcendo finta che non esistano, o cercando “finte legittimazioni da un palco. La legittimazione va cercata prima dentro il PD, dove tra correnti e distinguo su tutto non si capisce più se la segretaria è ancora tale per tutti. Poi con i 5 Stelle, cercando un punto di incontro e di intesa con il suo leader. Altrimenti meglio un campo stretto in cui ognuno fa per sé. È qui che si gioca il futuro: Schlein deve decidere se vuole guidare il centrosinistra o solo il Pd; Conte deve capire se vuole un’alleanza o un duello permanente. E la sfida con Meloni ? Ancora da giocarsi, ma la premier è già avanti uno a zero.

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Andrea Bonini