Democrazia e legge di bilancio in tempo di guerra

Se non fossimo tutti certi che è successo davvero, potremmo catalogare nella vasta materia dei sogni – pure di mezza estate - ciò che abbiamo visto in Alaska in pieno agosto. Sogno, incubo o astuta creazione di un’intelligenza artificiale militante. Passato un po’ di tempo e successe molte cose, davvero quelle immagini sembrano incredibili. Come nei sogni, appunto, che non offrono nessuna coerenza ai loro racconti. Talmente privi di un filo narrativo logico che facciamo fatica a ricordarli. E certe volte neanche la fatica serve. Il tappeto rosso, gli ammiccamenti, le speranze scambiate per risultati, peraltro da una parte sola. E poi i protagonisti del sogno: i vertici del mondo che aspirano a esserne i padroni. Teatro dell’irragionevole. Che ha reso un grande servizio a chi vuole confondere - per missione politica – torto e ragione. Confondere la realtà di un’invasione brutale e mortale per migliaia di uomini, donne, bambini con la inconsistenza delle motivazioni - che Putin ritiene storiche e indiscutibili – per lo scatenarsi della carneficina. Questa lunga introduzione per dire che quella specie di sogno di metà agosto non può non avere conseguenze sulla cosiddetta opinione pubblica. Ha oggettivamente indebolito la forza di chi vuole difendere l’Ucraina senza se e senza ma. Ha ampliato di molto lo spazio del dubbio su cosa davvero possa fermare la guerra, al di là dei torti e delle ragioni come le disegna il diritto internazionale. Ha abituato – sempre un poco di più – a considerare la guerra uno dei modi per risolvere le controversie, non perché sia accettabile ma perché, semplicemente, accade. Abbiamo tutti abbastanza ragioni per credere che questo sia ciò che vuole Putin. E possiamo coltivare qualche sospetto che sia pure ciò che vuole Trump. Ciò che vuole l’Italia – e il suo governo – è controverso. O, almeno più controverso rispetto a prima del sogno di mezza estate. Prima – seppure il pensiero filorusso o non antirusso rimaneva nelle menti di una parte della nostra classe dirigente – le parole di quella parte si erano quasi diradate. Ora, in tempo di legge di bilancio, non riescono a tacere. Legano la predisposizione ideologica all’esigenza pratica, al comune sentire – quello del buon padre di famiglia – che suggerisce di fare attentissimo uso del denaro quando ce n’è poco. Il padre di famiglia pensa alla famiglia, lo statista buono alla nazione. Ed è così chiaro che l’Italia ha bisogno di soldi e l’Ucraina è lontana. E, notizia delle ultime settimane, ha pure un gruppetto di corrotti al governo. Vicini, molto vicini al presidente. E, pur essendo una scelta dolorosa – per la Lega ma pure per una certa sinistra – meglio deludere Trump per un mancato acquisto di armi americane pro Ucraina che essere antipatici al Cremlino. Ecco che si verifica esattamente quello su cui contava Putin: l’opinione pubblica vede gli aiuti all’Ucraina solo come soldi sottratti al proprio benessere, lo stato sociale, la sanità, le pensioni. E l’Unione europea divisa tra chi vede e sente la minaccia Russa e chi vede e sente molto meno. Forse è un po’ semplicistico dire che se c’è meno welfare c’è meno democrazia e che l’Europa divisa è irrilevante. Democrazie fragili, Europa in piena decadenza. Abbiamo più di un indizio per capire a chi appartengano questi obiettivi. E che non sono così lontani dal raggiungerli.

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Democrazia e legge di bilancio in tempo di guerra

Massimo Leoni