Regionali, tra big e alleanze: si apre l’estate del Meloni vs Schlein

Se c’è una certezza per le prossime regionali è che saranno e peseranno più di un semplice voto locale nello scacchiere della politica. E che in quest’estate di campagna elettorale, o quasi, non mancheranno grane per Giorgia Meloni ed Elly Schlein. La prima per la premier si chiama Veneto e Luca Zaia. Il governatore che tale vuole restare, davanti all’incertezza ha abbandonato il fairplay: ha quotato esplicitamente una sua lista al 40 45%. E poi, giusto per essere chiaro, ha chiesto al centrodestra se “la vuole valorizzare o no”. Aggiungendo sibillino, ma a Roma hanno inteso benissimo, “dopo capiremo cosa faremo”. Lei, Meloni, intanto vuole trovare tra i suoi un nome altrettanto forte, mentre Forza Italia avanza la candidatura di Tosi. L’ingombro di uno Zaia fuori dal palazzo della Regione è cosa non da poco per la Presidente del Consiglio, ma anche per Matteo Salvini che non a caso ha spinto non poco per il terzo mandato. Si agita meno il centrosinistra che sa comunque di avere pochissime chance. In ogni caso, e con ogni candidato. Partita totalmente diversa in Campania. Lì le ipotesi più creative hanno raccontato di una discesa in campo di Matteo Piantedosi, che però ha sempre smentito e sfilandosi dal Viminale lascerebbe a Meloni a dover fronteggiare le ambizioni di Salvini. I nomi in lizza sono quello di Martusciello, che nega dopo l’arresto per corruzione della collaboratrice, e quello del viceministro Edmondo Cirielli. Sfidanti all’apparenza deboli in una regione in cui il centrosinistra ha grosse chance di vincere. Ma anche di farsi del male da solo: Vincenzo De Luca, l’uomo a cui “viene l’orticaria a guardare alcuni dirigenti nazionali” del PD non demorde. Sfida Schlein a fare le primarie di coalizione sostiene di non essere contrario ad un campo largo ma al nome di Roberto Fico le bolle vengono a lui. L’ex presidente della Camera non è mai piaciuto al governatore; “il moscio” lo appellava, e dunque la contrarietà pare scontata. E a pensare male, forse, pesa ancora di più perché invece ad Elly Schlein la candidatura Fico piace e anche tanto, tra i due c’è un idem sentire su molti fronti. Per paradosso invece De Luca, che un suo peso specifico sa bene di averlo in terra campana, potrebbe dire sì ad altri Cinque stelle, ad esempio all’ex ministro Costa, che non ha mai nascosto ambizioni e disponibilità. A Conte interessa che il candidato sia suo. Quanto sia disposto a sbracciarsi per Fico, che pure nei sondaggi è dato ampiamente avanti rispetto ai competitor interni, potrebbe rivelarsi una partita nella partita. Grane che si moltiplicano e concatenano per Schlein pressata in Toscana dall’area riformista. L’uscente Giani non è uomo suo ma non ricandidarlo è complesso, e a difesa del governatore uscente è scesa in campo l’area riformista del partito, con i sindaci, compreso quello di Rignano sull’Arno, ovvero casa Renzi, a chiedere di formalizzarne la candidatura. Che però non convince per niente Avs e Movimento. La rossa Toscana resta terra ostica per il centrodestra, che non a caso non si affanna a cercare uno sfidante e aspetta alla finestra. Per ora basta far circolare il nome del sindaco di Pistoia, il meloniano Alessandro Tomasi. Fa storia a sé anche la Puglia: terra cara a Meloni e ai i suoi, è di casa il fedelissimo Gemmato, non pare trovare esponenti e classe dirigente pronti a sfidare il ventennale governo di centrosinistra. Li intorno al nome di De Caro il campo largo sembra aver siglato l’intesa. Non senza qualche perplessità Conte alla fine ha ceduto chiedendo però un cambiamento di linea radicale rispetto alla giunta Emiliano, un "rinnovamento" che vada al di là di un semplice "maquillage”. Ed è l’ingombrante figura del governatore uscente a suscitare qualche affanno in casa dem: lui vuole candidarsi a consigliere regionale esattamente come l’altro ex di lusso, Nichi Vendola. E De Caro, mister preferenze alle ultime europee, poco digerirebbe il ruolo di Presidente sorvegliato, o commissariato. Da Bari si guarda a Roma e da Elly Schlein si attende l’’ennesima via d’uscita. Che in qualche modo l’ha trovata nelle Marche. Anche lì la tentazione fratricida del Pd si è fatta sentire: in una serie di notti dai lunghi coltelli si è alla fine arrivati all’intesa nel nome dell’ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Neanche lui inquadrabile come un fedele della segretaria che però si è già fatta vedere in regione cercando di unire. Missione compiuta con i riottosi Cinque Stelle, che non senza perplessità alla fine saranno del campo largo. Quello da cui però si è già sfilata Azione e Calenda. Il ragionamento che si fa nel centrosinistra è, sulla carta, lineare: ogni voto in più può essere utile a vincere in un questo nuovo Ohio d’Italia. La sfida contro il governatore uscente è ardua, ma non impossibile, sondaggi alla mano. Lui, Acquaroli, uomo di Giorgia Meloni che lo volle presidente e che ne ha blindato la ricandidatura, da mesi e mesi lavora per il bis. Un impegno che lo ha fatto balzare nel gradimento dei governatori al 12esimo posto dell’ultimo dello scorso anno. Il tempo, Acquaroli lo sa, potrebbe essere il suo peggior nemico. Per questo ha già deciso: si vota a settembre. Il 28 o forse addirittura il 21. Prima che l’estate finisca, prima che gli ombrelloni chiudano. Prima che il vento cambi.

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