Referendum, come è cambiata l'affluenza dal 1946 a oggi?

Se includiamo i referendum dell’8 e 9 giugno, nella storia dell’Italia repubblicana si sono tenute 25 consultazioni referendarie, che hanno chiesto il parere degli italiani su un totale di 83 quesiti. Il primo fu il referendum istituzionale del 1946, nel quale la popolazione fu chiamata a scegliere la forma di governo sotto la quale preferiva essere amministrata: monarchia o repubblica. Vinse quest’ultima con il 54,3% delle preferenze e nonostante la consultazione non richiedesse il raggiungimento del quorum del 50% di elettori +1 , si recò alle urne l’89,1% degli aventi diritto di voto: un dato ancora oggi record di partecipazione nel caso dei referendum. Ma sono proprio i dati relativi all’affluenza a mostrare uno degli elementi più rilevanti: il calo dell’interesse pubblico nei confronti dei quesiti referendari da trent’anni a questa parte. Tra i 10 referendum abrogativi che si sono tenuti prima del 1996, solo uno non superò quota 50% di votanti e fu quindi dichiarato non valido: fu quello tenuto nel 1990, che proponeva l’abolizione della caccia, dell'accesso dei cacciatori a fondi privati e dell'uso dei pesticidi in agricoltura. Tra i singoli quesiti referendari, 32 su 35 superarono il quorum. Dal 1996 in poi, lo scenario si è sostanzialmente invertito: dei 10 referendum abrogativi proposti, solo in uno si è superato il quorum, ovvero quello del 2011 che riguardava i servizi pubblici locali, i servizi idrici, l’energia nucleare e il legittimo impedimento. Negli ultimi trent’anni, solo questi ultimi 4 quesiti sui 34 proposti hanno dunque superato il quorum necessario a renderli validi. Questi dati riflettono sì il crescente disinteresse nei confronti della politica da parte degli italiani – che da vent’anni a questa parte si manifesta anche nel drastico calo di affluenza alle elezioni politiche e locali – ma anche il maggiore utilizzo dell’arma dell’astensione per invalidare le consultazioni da parte dei partiti politici che si oppongono agli obiettivi dei referendum. Un tempo, infatti, questi invitavano comunque i cittadini a recarsi ai seggi, votando in opposizione al quesito: un esempio celebre è il referendum del 1974 – il primo abrogativo della storia repubblicana – che intendeva abolire la legge sul divorzio ma fu perso dai suoi proponenti, non perché invalidato dal non raggiungimento del quorum , ma perché vinse il “no”. Diverso lo scenario per quanto riguarda i referendum costituzionali – tutti tenuti dopo il 2001 e tutti con un unico quesito – per i quali non è tuttavia richiesto il quorum. Tre su quattro hanno portato alle urne più della metà degli aventi diritto di voto: in due casi l’affluenza ha però superato solo di poco quota 50% , mentre in uno solo superò di poco il 65%. Nel 2001, il referendum sull’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione si fermò a quota 34,1%, ma venne comunque approvato grazie alla vittoria del sì. L’unico referendum consultivo della storia della repubblica si tenne nel 1989 e chiese agli italiani se fossero favorevoli a conferire un mandato costituente al Parlamento europeo, ossia se volessero che il Parlamento europeo avviasse il processo per una vera Unione politica europea, superando la semplice cooperazione economica della Comunità Europea. Vinse il “sì” con l’88% delle preferenze e l’affluenza si attestò all’80,7%.

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