Meloni al giro di boa

Da una parte un pezzo di Paese che credeva in una svolta, che sposò l’idea della prima donna premier, forte e determinata. Dall’altra chi invece era terrorizzato dall’idea di una leader di destra, la paura di tornare a un nazionalismo esasperato, calcando perplessità che non lasciavano immuni neppure diverse cancellerie internazionali. A metà legislatura, con Giorgia Meloni che è già tra i presidenti del Consiglio più longevi della nostra Repubblica, il quadro, le paure e le diffidenze restano più o meno le stesse. Almeno in casa. Fuori dai confini nazionali in realtà è apparsa meno “underdog” di quanto si immaginasse. Ma al netto di timori e ambizioni politiche, il bilancio di governo a metà legislatura, appare molto ordinario e poco rivoluzionario. Il momento non facile, la necessità di muoversi con prudenza, i conti che non riescono a liberarsi dalla tenaglia del debito monstre italiano, non hanno permesso di liberare quell’energia che avrebbe dovuto portare a una “nuova ondata di crescita economica”. Una svolta mancata I vari pacchetti e interventi annunciati, alcuni anche realizzati, non hanno generato la svolta. La crescita rimane fragile. Il sistema fiscale, ancora complesso, scoraggia gli investimenti. La carenza di infrastrutture digitali posiziona il nostro Paese nelle retrovie. Per non parlare del mercato del lavoro, ancora segnato da un elevato tasso di precarietà e da un forte divario generazionale. Uno scenario che ora deve fare i conti con l’ombra dei dazi americani. Sul rapporto con Trump, Giorgia Meloni, ha puntato e punta parecchio. Ma al momento non si intravede all’orizzonte né una possibile “esenzione” italiana, né la possibilità di cavalcare un eventuale simile scenario. Significherebbe sganciarsi dall’Europa, a cui siamo vincolati non solo da un punto di vista valoriale e politico, ma anche da prestiti, finanziamenti, Pnrr, etc etc. Pnrr che resta un obiettivo complesso da raggiungere. Quanto meno per la scadenza del 2026. La capacità di spesa del nostro Paese resta un nodo critico. Il punto sulle riforme Se sull’economia il giudizio è dunque sospeso, non diverso può essere per le riforme. Il premierato, con il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio, l’autonomia differenziata per le regioni, la riforma della giustizia. Dovevano essere “marchi di fabbrica” del lavoro di questo esecutivo, ma tra dubbi costituzionali e barricate delle opposizioni, lo sprint iniziale sembra essersi esaurito. Lo scontro con la magistratura rimane poi un altro dei punti più critici. I centri in Albania sono stati una specie di molla di questo braccio di ferro senza fine, con il governo che difende la propria prerogativa di garantire la sicurezza dei confini, e la magistratura che rivendica il proprio ruolo di vigilanza sul rispetto dei diritti fondamentali. Le tensioni nella maggioranza Il giro di boa appare poi segnato da un crescendo di tensioni all’interno della maggioranza, con le differenze tra Lega e Forza Italia che si fanno più marcate. In Europa, con Salvini sempre più legato ad Orban, e Tajani sempre più europeista. In Italia, dove gli azzurri spingono per un’apertura a destra sui diritti mentre il Carroccio prova ad appropriarsi della linea Dio, Patria e Famiglia cara ai Fratelli d’Italia, che esprimendo il presidente del Consiglio provano a tenere tutto insieme, anche a fronte di qualche rinuncia. Insomma, dettagli che caricano questo traguardo di molti interrogativi. Il ruolo sullo scenario internazionale A livello internazionale Meloni ha evitato frontali con Bruxelles. Ora vi è da capire come riuscirà a bilanciare il rafforzamento dei legami con Trump e la salvaguardia dell’interesse nazionale all’interno dell’UE. Il sostegno all’Ucraina, che le ha permesso di superare i pregiudizi iniziali delle cancellerie internazionali, è stato e resta un punto fermo. Sperando anche qui che non ci siano scossoni nella maggioranza. I casi Santanché e Paragon Sino ad ora la “ragione di governo” ha sempre prevalso. Anche nei momenti difficili come durante il caso Boccia/Sangiuliano, costato la poltrona del Collegio Romano. A medio raggio resta da monitorare la posizione della ministra Santanché, dopo il rinvio a giudizio, ma anche gli eventuali sviluppi del caso Paragon, con le sue intercettazioni. Entrambe le questioni potrebbero diventare nodi problematici. Ecco allora che il vero banco di prova per Meloni sarà nei prossimi due anni e si giocherà sulla capacità di trasformare una gestione più o meno ordinaria in quella spinta innovativa promessa agli elettori nel 2022.

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