Metà legislatura: le opposizioni e il percorso da fare

Una legislatura può essere intesa come il cammino che la politica – e, insieme, il Paese – fanno da una elezione a un'altra. Nel mezzo di questo cammino, è lecito – forse utile – fare un bilancio. Vale anche per le opposizioni. Una chiave del bilancio, in questo caso, risiede già nell’uso del plurale: non “opposizione” ma “opposizioni”. Il giorno dopo le elezioni che hanno portato al governo più a destra della storia della Repubblica e il cui risultato era stato fortemente influenzato dalla rottura del fronte Pd-Cinquestelle, era chiaro a tutti che le divisioni avevano azzoppato il centrosinistra. Dopo due anni e mezzo, non si sono fatti passi avanti degni di nota. L’unità delle opposizioni resta un fenomeno carsico, per lo più nascosto. In superficie resta un quadro di divisioni importanti. Evidente già dal numero dei partiti: tre a rappresentare il centro: Italia Viva, Azione, +Europa. I leader dei primi due, Renzi e Calenda, in contrasto perenne e personale. Più a sinistra, l’unità di intenti più solida si rivela quella tra Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico. I rapporti tra Pd e Cinquestelle restano complicati, a volte tesi, quasi sempre competitivi. Il campo largo resta immagine suggestiva ma nessuno più si azzarda ad usarla. La volontà di aggregazione resta forte nel Pd, ma i risultati negativi dei Cinquestelle nelle elezioni locali ad eccezione della Sardegna non hanno facilitato le cose. Conte è sempre più attento a non sovrapporre la sua offerta politica a quella di Schlein. Anche in una circostanza che ha offerto una forse irripetibile occasione di unità come la critica aspra al Manifesto di Ventotene da parte della presidente del Consiglio, le parole di Conte non sono sembrate allineate con quelle del Pd: nel tono, nell’emozione, nell’aggressività che pure il leader dei Cinquestelle è maestro nel mettere in campo. Può dare forza a una ripresa di consenso per il movimento, ne toglie – con ogni probabilità – all'unformarsi di un’alternativa di governo. Eppure, un governo così a destra dovrebbe compattare e dare grande lavoro a un’opposizione di sinistra. A volte ci riesce. Nell’appoggio alla magistratura, nella battaglia sempre in corso con l’esecutivo, la sinistra appare unita anche se la componente di centro è molto più tiepida. Nella postura antifascista, forse logora ma che a volte giova ribadire. In alcune battaglie che riguardano le politiche economiche e sociali. Ma le crepe nella maggioranza dove sarebbe più semplice incunearsi - le divisioni in politica estera - restano inattaccate. Le opposizioni, se possibile, marciano in ordine ancora più sparso. Il Pd, al suo interno, replica le divisioni dei tre principali partiti di governo. La sinistra che guarda al pacifismo parte da presupposti diversissimi ma approda a conclusioni simili a quelle della Lega. I cosiddetti riformisti sembrano vicini alle posizioni che nella maggioranza presidia Forza Italia. La segretaria assume il ruolo di coscienza critica della commissione europea – ma anche del Pse che la sostiene – cercando di fare pressione per cambiare sia la filosofia che le modalità del cosiddetto Re-arm Europe: è un po’ quello che, da destra e all’interno del Consiglio europeo, prova a fare Giorgia Meloni. Fuori dal Pd, i Cinquestelle mettono in campo un sostegno tiepido alla causa dell’Ucraina e una certa maggiore simpatia per gli uomini forti: Trump, Putin e la loro personale trattativa. Trattativa della quale sembrano sottovalutare i rischi per l’Europa. Il no alle armi dei Cinquestelle è senza distinguo, simile a quello di Fratoianni e Bonelli. Mi sono dilungato sul quadro delle politiche estere delle opposizioni perché ce ne sarebbe da fare per la sinistra, solo a pensare oltre i confini nazionali. L’avanzata delle destre su scala mondiale ha creato in poco tempo una “Internazionale” di conservatori e sovranisti. Per chi la pensa diversamente, dovrebbe essere un pericolo. Mettere il naso fuori di casa, trovare ampie alleanze, concepire e diffondere idee con la stessa efficacia che è stata il tratto distintivo delle destre: è quello che le opposizioni dovrebbero mettere in agenda. Non toglierebbero né tempo né energie alla ricerca dell’unità interna. Anzi, forse, il contrario.

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