Il governo alla prova di sé stesso

“Il caso non esiste: tutto è prova, ovvero punizione, o ricompensa, o previdenza.” Chissà cosa ne pensano al governo delle teorie di Voltaire. Di certo è interessante declinare il pensiero del filosofo illuminista francese a quanto accaduto, in seno alla maggioranza, durante l’ultima settimana. Il braccio di ferro tra Lega e Forza Italia ha spinto l’esecutivo al suo momento di tensione più alta da quando è nato. Uno scontro durissimo su alcuni provvedimenti che hanno letteralmente fatto volare gli stracci. Il governo che va sotto tre volte, i forzisti che definiscono Salvini “paraculetto”, Meloni che richiama tutti all’ordine dopo aver perso, totalmente, il controllo dei suoi più stretti alleati. Ora siamo nella fase “Peace and Love” . “Sono state solo schermaglie, incomprensioni, discussione schietta su questioni pratiche, pluralismo”. Si cerca di abbassare i toni, ma è evidente che nessuna di queste spiegazioni regge. Così come non regge la tesi che a tanto si è arrivati solo perché qualcuno voleva abbassare da 90 a 70 euro, il canone della televisione pubblica, salvo poi compensare con un “bonifico una tantum” quanto appena sforbiciato. Cosa c'è dietro lo scontro tra alleati? E qui torna in ballo Voltaire. Se è vero che “il caso non esiste”, quello a cui abbiamo assistito è l’inizio di una crisi politica, dall’esito ancora aperto, che ora Giorgia Meloni dovrà maneggiare con cura. Tra Tajani e Salvini i malumori non sono circoscritti solo al decreto sul fisco. I rispettivi partiti fanno parte di due mondi completamenti diversi. Salvini antieuropeista, scettico sul sostegno a Kiev, contro il libero mercato laddove Unicredit – tanto per fare un esempio – prova a scalare un altro istituto di credito. Tajani al contrario invoca più Europa, pro-Ucraina al massimo livello, richiama la politica a non immischiarsi in faccende di banche e mercato, predicando un liberismo puro. Basterebbe questo per capire che la controversia di maggioranza ha ragioni profondi, ma non basta, perché ciò che chiede Forza Italia è di fatto un “cambio di passo” complessivo. Definizioni che solo ad evocarle, riportano alla mente le micce di innesco di moltissime altre crisi, sfociate poi in diverse forme di “showdown” nel giro di sei mesi. Se sicuramente è prematuro ipotizzare uno scenario simile, il raffronto con il passato ci aiuta però a capire ciò che a Forza Italia non sta più bene. Meno Meloni, più coalizione Il partito di Tajani si sente sottorappresentato. Dall’inizio della legislatura ad oggi pesi e potenze sono cambiate, con gli azzurri che rivendicano il secondo posto in coalizione. Ci si basa sugli ultimi risultati elettorali, con il progressivo declino della Lega, e il sorpasso dei moderati di Berlusconiana origine. Ecco perché non sono piaciuti gli aut aut di Meloni, tanto sulla manovra – dove per i forzisti non c’è davvero nulla – quanto sulla scelta – al momento solo annunciata – di voler tenere per sé il ministero di Raffaele Fitto, asceso al rango di vicepresidente esecutivo della commissione europea. Si invoca più dialogo, si invoca più collegialità, si invoca più condivisione. Tutti modi per dire che non solo Forza Italia deve contare di più, ma che anche le politiche del governo da qui in avanti dovranno essere meno centrate su Fratelli d’Italia. Ed è il motivo per cui la premier non si sente tranquilla. Negli stessi ambienti forzisti si lascia poi intendere che il malessere denunciato non è solo una questione di partito. Senza scomodare la famiglia Berlusconi, che a Palazzo Chigi sospettano sia “complice” del cambio di atteggiamento di Tajani, c’è sicuramente un pezzo di mondo economico e finanziario che non è pienamente soddisfatto di come stanno andando le cose. Al netto delle rivendicazioni governative, un “boost” all’economia, degno di questo nome, non è arrivato. Le imprese fanno fatica. L’Italia è in perenne crisi di competitività. All’orizzonte non si intravede nulla che possa cambiare questo quadro. A tal punto che più o meno in chiaro, c’è chi inizia a sollevare dubbi sulla capacità di Meloni di “tenere insieme tutto questo”. Da qui l’invito a condividere di più, a fare le cose insieme. Perché “non esiste solo Meloni, non esiste solo Fratelli d’Italia”, si lascia scappare un esponente di rango del governo. I dubbi della premier Il cuore del problema è tutto qui. A metà legislatura si registra un appiattimento sulla figura della leader, che nonostante il consenso di cui ancora gode, non è immaginabile possa restare tale. Cosa farà Meloni, non è chiaro. D’indole sarebbe portata ad andare avanti per la sua strada, convinta che senza di Lei, non ci sia né storia, né futuro. La storia però non l’aiuta. Spesso in passato chi ha fatto ragionamenti simili è rimasto schiacciato da sé stesso. È il caso di Renzi, ma anche, paradossalmente, quello di Draghi. Caduto per le divergenze con i 5 stelle, ma con la spina staccata non da Conte bensì da Forza Italia. E qui torna Voltaire. “Il caso non esiste: tutto è prova, ovvero punizione, o ricompensa, o previdenza.”

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