Il monito di Meloni: “Basta esami, siamo un governo responsabile”

Dal palco del comizio di Perugia, ultimo atto di una campagna elettorale che dopo la Liguria potrebbe portare al centro destra anche l’Umbria - Giorgia Meloni sembra diversa dal solito. La carica e l’energia durante gli eventi con la gente, la galvanizzano sempre, ma è nei contenuti e nelle parole che si intuisce che il pensiero è altrove, concentrato su sfide di altra portata rispetto ad un voto regionale. La premier guarda fuori i confini nazionali. Guarda a Bruxelles, dove l’insediamento della commissione Von Der Leyen, con Raffaele Fitto vicepresidente, è più travagliata del previsto. Guarda a Mar a Lago, in Florida, a casa di Trump, dove ormai si è insediato un pianta stabile il suo amico Elon Musk. Amico, nonché traghettatore dell’Italia verso la nuova era americana, ma che con le sue esternazioni social non ha mancato di crearle qualche problema. Intendiamoci, Giorgia non condivide tanto ciò che sta succedendo in Europa, quanto la levata di scudi anti Elon, ma per un momento sembra far buon viso a cattiva sorte, cercando di prendere la distanza da tutti gli estremi. Meloni: “il nostro è un governo dal profondo senso dello stato” “Sono una persona di destra, credo nello stato e nelle istituzioni. Bisognerebbe darci tutti una mano”. Una frase buttata li con solennità, quasi a voler riaffermare il bisogno di essere considerata meno “underdog” e più “top dog”. Una frase che racchiude molti significati. Dal “basta considerarci un branco di estremisti senza arte né parte”, al più forte “siamo al potere, vogliamo gestirlo con responsabilità, inutile tentare di non farci sedere ai tavoli che contano”. Come dicevamo prima, vale per tutto: per Bruxelles, per Musk, per gli avversari interni e la magistratura. Su quest’ultimo punto la linea non cambia. “C’e un atteggiamento pregiudiziale dei giudici che deve finire. Piaccia o non piaccia arriveremo alle separazioni delle carriere. Sull’Albania abbia anticipato norme che dal 2026, col nuovo patto di asilo e migrazione, saranno standard per tutti”. Che è anche un invito ad evitare il muro contro muro continuo, fermarsi un attimo e provare a trovare un compromesso. Una intesa che - fermo restando i macro principi di cui sopra - possa essere in un certo qual modo potabile per tutti. Perché se da un lato non si molla, dall’altro è chiaro anche a Palazzo Chigi che un perenne scontro frontale alla lunga fa male a tutti. Al governo, alla magistratura, agli stessi partiti. Se in casa si litiga, all’estero servirebbe unità Discorso simile su Bruxelles, dove le tensioni di questi ultimi giorni, preoccupano meno di quanto appare dalle cronache giornalistiche. La convinzione è che alla fine non ci sarà uno strappo irreparabile tra Socialisti e Popolari, Ursula si insedierà con Fitto vice. Ma ciò che non va giù è quello “stigma” continuo di “inadeguatezza” che viene applicato a tutti i candidati di Meloni. Per un motivo o per l’altro. Fitto è preparato, ha la stima di tutti, perché demolirlo a prescindere? E qui entra in campo il “bisogno di questa fase due”: il non essere considerati “paria a prescindere”. Giorgia è convinta di essere vicinissima ad una grande operazione politica: l’aver spostato a destra la commissione senza troppi proclama, esserci dentro senza esservi entrata, ma soprattutto aver tenuto fuori da questo riallineamento, la destra cattiva ed estremista. Un passaggio - pensa la leader di Fratelli d’Italia - di cui anche la sinistra dovrebbe esserle grata. In un momento in cui soffia forte ovunque il vento della destra, avere come interlocutore un contrappeso ragionevole di quel mondo, fa bene al sistema. Perché questo adesso Meloni è convinta di rappresentare : una destra di governo responsabile, una destra in giacca e cravatta, capace di esprimere una leadership ferma nei suoi principi, ma senza sbavature estremiste di alcun genere. Basta esami, sappiamo governare È convinta di aver superato tutti gli esami : atlantismo, ucraina, manovra economica prudente etc. etc…,Il fatto che venga dipinta come “sempre la stessa” e “il mancato riconoscimento di questo percorso”, sono in questo momento le due cose che la fanno letteralmente impazzire. Ancora di più sulla vicenda Musk. La premier rivendica e difende il rapporto con l’uomo ombra di Trump. Lo considera quasi una prova di buon governo: la capacità di mantenere ottimi rapporti con gli Stati Uniti, indipendentemente da chi si trova alla Casa Bianca. Per questo avrebbe fatto volentieri a meno delle parole di Musk sui giudici, ma anche della bagarre successiva. È certa che il suo rapporto con il tycoon sarà fondamentale per l’Italia ma anche per l’Europa, per limitare gli eventuali danni di una politica economica all’insegna dei dazi. Motivo per cui non è del tutto sicura che le solenni critiche di Mattarella fossero davvero necessarie. Musk non è ancora entrato alla Casa Bianca, era davvero necessario - la domanda che si pongono a Chigi - scalare subito al livello di censura più alto? Il senso delle parole del capo dello Stato non viene messo in discussione, anzi, è pienamente condiviso. Ma tempi e modalità - dicono a mezza voce nel suo entourage - potevano essere diversi. Perché volenti o nolenti, Elon Musk sarà un interlocutore di primo piano. E qui si fa ancora più grosso il fastidio iniziale. Il sentirsi considerata mai pienamente all’altezza, sempre bisognosa di aiuti dall’esterno, continuamente sotto verifica. Nonostante il legame con Musk alla fine sia suo.