Fitto e l'urgenza di una governance europea

La questione Fitto, chiamiamola così, sta diventando questione della massima importanza. Sulla persona del forse ex ministro per gli affari europei e per il Pnrr si concentrano una serie di problemi, ognuno dei quali va risolto, possibilmente in fretta e senza far slittare ulteriormente l’insediamento della seconda Commissione Von der Leyen. Ognuno capisce perché l’Europa, in questo momento, ha bisogno di una governance che la rappresenti: le guerre e un necessario nuovo assetto per difesa e suicurezza; le transizioni – ecologica, energetica, digitale – a metà di una strada a direzione incerta; tutte le incognite del rapporto con l’America di Trump che certo le prime notizie sui membri del suo gabinetto non aiutano a risolvere. Ecco, quella su Fitto sembra la tempesta perfetta per rendere tutto ancora più difficile. La piccola maggioranza Ursula Il problema alla base è che Von der Leyen percepisce piccola la sua maggioranza. A ragione. Il parlamento europeo è un luogo dove i voti sono di frequente slegati dai gruppi di appartenenza. Questo, con pochi voti di vantaggio, è un rischio costante. E poi, le destre – nessuna delle quali fa parte maggioranza Ursula – sono cresciute notevolmente nell’ultimo voto europeo. Un segnale che Von der Leyen non vuole ignorare: sa bene che una delle critiche al Leviatano europeo è di essere lontano dal popolo – o dai popoli sovrani. La critica non va alimentata: non tener conto dei numeri delle destre potrebbe essere un errore fatale, non solo per la presidente, ma per l’intera Unione. Quindi, Fitto. Fitto vicepresidente. Una sorta di ufficiale di collegamento con l’opposizione europea e anche con il governo di uno dei paesi fondatori, l’Italia. Che è pericoloso tenere fuori dai giochi. Perché può saldare le sue destre con quelle europee più radicali, ancor più di quanto non sia già ora. Perché può essere un ostacolo insormontabile ai buoni rapporti tra Commissione e Consiglio. L'ingenuità di Giorgia e Ursula Con qualche ingenuità, forse, Von der Leyen ha contato sul fatto che Meloni – altra ingenuità, forse – contava sul fatto che i democratici italiani mettessero l’interesse nazionale di fronte a tutto e convincessero pure il gruppo dei socialisti europei – di cui sono la parte più numerosa – a votare Fitto vicepresidente. Pare non andrà così. L’elezione di Trump ha irrigidito le posizioni: I socialisti non vogliono in Commissione uno che potrebbe anche solo simpatizzare con il sovranista americano. E dall’altra parte i Popolari, fiutando l’aria che tira, si sono già avvicinati alle destre anche nei voti parlamentari. Tipo quello sulla deforestazione, mostrando una sensibilità molto diversa sui problemi ambientali rispetto ai compagni di maggioranza. Lo spettro del fallimento Il fallimento della commissione Von der Leyen è l’ultima cosa da augurarsi per chi vuole un futuro per l’Europa. Mattarella è di certo uno di questi. Non è un caso abbia ricevuto Raffaele Fitto. E abbia definito la sua nomina “così importante per l’Italia”. Una nomina che bisogna fare in fretta, anche e soprattutto per l’Europa. Forse anche a costo che qualcuno lo faccia turandosi il naso.

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