Fine vita, il diritto rinviato (per ora a settembre)

“Su richiesta di un Gruppo parlamentare, la Conferenza dei Capigruppo ha convenuto di inserire nel calendario dei lavori, a partire da martedì 17 settembre, la discussione del disegno di legge, sottoscritto da un terzo dei senatori, concernente disposizioni in materia di morte medicalmente assistita” Urgenze per il rientro dalle vacanze Una promessa, un impegno lasciato nello stenografico di una seduta del Senato per quando si tornerà in Aula, tra le urgenze del rientro: il voto per la Rai, la manovra in arrivo, e molte altre priorità. Perché in un Parlamento che, come accade da decenni, va avanti a decreti e voti di fiducia, per far viaggiare i disegni di legge servono le maggioranze. Anzi la maggioranza. Che di temi etici si occupa, vedi la gestazione per altri reato universale, ma sul fine vita per ora ha passato la mano. Il ddl che la minoranza vorrebbe veder arrivare in aula langue in commissione da mesi: presentato da un senatore dem e sottoscritto anche da Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra e Autonomie, altro non è che la copia del provvedimento approvato nel marzo del 2022 dall’allora maggioranza giallo rossa sotterrato dalla caduta del governo Draghi. Una copia giusto un po’ sbiadita dagli anni che intanto sono passati. Dai tribunali dove sono piovuti altre richieste di aiuto a morire. E persino, ancora, da una sentenza della Corte Costituzionale. La sentenza della Corte La Consulta, grande protagonista per assenza di altri attori nel 2019 stabilì l’illegittimità costituzionale di parte dell’art 580 del codice penale. A banalizzare la questione, che si porta dietro la vita, la morte e le sofferenze, si potrebbe dire che in Italia non è che si abbia un vero diritto al suicidio assistito, ma “solo” che se qualcuno aiuta qualcun altro a morire non sarà punito. A condizione, è il dettato della Corte Costituzionale, che il malato sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. E che sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. E cosa siano questi trattamenti lo ha detto ancora una sentenza, ancora la Consulta, a luglio 2024: sono le macchine che tengono in vita, certo, ma anche quelle cure che persino i familiari imparano a fare loro malgrado: “ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali”. Un elenco letterale di dolore, malattia, e di corpi. Vissuti come una prigione. Quei corpi, dal caso Englaro in poi, anno 2009, sono il perno di un dibattito che si avvita, speculazione tra l’Etica con la E maiuscola, ciò che è buono e giusto, e ciò che è ammesso o ammissibile, la legge, anche con la L minuscola. Un dibattito cacofonico, incapace di trovare persino una lingua comune. Figurarsi di scrivere una legge. Una "soluzione condivisa" da cercare con la Chiesa La Chiesa, quella che negò il funerale religioso a Piergiorgio Welby e che parlò di “mano assassina” per Eluana Englaro mette nero su bianco che “nutrizione e idratazione artificiali”, essendo trattamenti sanitari, andrebbero valutati “caso per caso”, perché quanto viene inserito nell'organismo è preparato in laboratorio e somministrato attraverso dispositivi tecnici, su prescrizione e tramite intervento medici”. Non si tratta “pertanto di semplici procedure assistenziali e il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente che le rifiuti con una consapevole e informata decisione, anche anticipatamente”. Che è quanto lo Stato ha stabilito per legge nel 2017, con il “testamento biologico”. Otto anni dopo la morte di Eluana. Dunque se all’apparenza non sbaglia chi dice che nulla cambia, resta che quel “Piccolo lessico sul fine vita” illumina una strada, “perché capirsi è almeno sedersi al tavolo della mediazione” e sul fine vita una cosa per Paglia è certa, ed è “la necessità di trovare soluzioni condivisa” e di “individuare un punto di mediazione accettabile”. Cinque proposte, tutte arenate Quando mai mediazione nelle aule parlamentari apparve invece più lontana. Da inizio legislatura sono state depositate cinque proposte di legge, mai discusse. Quattro di opposizione, una sposata da tutte e che in teoria dovrebbe essere discussa a settembre. Una, e una sola, di maggioranza. La 1083, che prende la legge del 2017 e ci fa un bel tratto nero sopra per dire che invece no: “l’idratazione e l’alimentazione, pur se garantite attraverso ausili tecnici, non sono considerati trattamenti sanitari”. Ci crede la maggioranza meloniana che si possa tornare indietro? Può la premier financo ignorare il lessico sul fine vita e la richiesta di “mediazione accettabile” arrivata da Oltretevere? Intanto la proposta di legge è lì, nero su bianco. La stessa dove l’Avvocatura di Stato a giugno si è seduta davanti alla Corte Costituzionale con richieste che, nei fatti, avrebbero potuto portare alla condanna a 12 anni carcere per Cappato e i suoi, rei di aver accompagnato un malato a morire fuori dai patrii confini. A settembre, forse, si capirà dove vuole andare il Governo. Che per ora ha fatto una cosa: ha impugnato davanti al Tar la delibera con cui l’Emilia Romagna, unica regione in Italia, fissa tempi certi perché le Aziende sanitarie rispondano ai malati che chiedono di essere aiutati a morire. Un tempo certo per chi tempo non ne ha.

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