Un Piano Mattei con vista sull'Eurafrica

Parlare di “Stati Uniti d’Eurafrica” è quantomeno prematuro eppure, nella lunga durata, un dato di fatto ancora così lontano sembra aleggiare come l’obiettivo destinato a divenire stato di diritto. L’Africa è un caleidoscopio di Paesi dotati d’una rappresentanza ufficiale non del tutto aderente ai singoli interessi delle nazioni continentali e alle rispettive sfere d’influenza: basti pensare alla frammentazione della Libia e all’intraprendenza economico-militare dell’asse sino-russo facilitata dall’instabilità cronica provocata dai focolai jihadisti nel campo largo del Sahel. L’Europa, sia pure in presenza d’una ridefinizione della propria “ragione sociale”, è incendiata dalla guerra in Ucraina e destabilizzata dal colpo di rimbalzo dei vecchi e nuovi populismi. Il "salto di livello" del Piano Mattei Ciò premesso, a Palazzo Chigi non s’intende deflettere dalla volontà di riempire la dottrina del così detto “Piano Mattei” con l’immissione progressiva di contenuti strategici. Sgomberato il campo dagli equivoci formali – il solo nome di Enrico Mattei, misteriosamente morto nel 1962 e artefice d’una tragica impresa finalizzata a propiziare un sovranismo energetico tricolore avant la lettre, ancora oggi fa sobbalzare le chiaroscure coscienze di numerose cancellerie occidentali, a cominciare da Londra… – va subito chiarito che il nostro presidente del Consiglio ha varato a inizio anno un programma di cooperazione intercontinentale espressamente armonizzato con i partner istituzionali europei e con gli Stati Uniti impegnati in un comprovato reflusso dal Mediterraneo per dedicarsi al quadrante indo-cinese. In altre parole: Giorgia Meloni, che già in tempi non sospetti aveva espresso la propria simpatia verso il movimento panafricanista in lotta contro il protettorato monetario francese, non ha certo in mente di allestire un velleitario piano neocolonialista. Si tratta piuttosto d’innescare un “salto di livello” dalla posizione securitaria e di retroguardia anti migratoria a un disegno di collaborazioni ad ampio raggio: dal controverso richiamo al blocco navale al più realistico mutuo sostegno in materia di istruzione, agricoltura, salute, energia e approvvigionamento di acqua e materie prime; non senza un forte accento di diplomazia culturale presente nella cabina di regia dedicata da Palazzo Chigi. Obiezioni da più parti Le obiezioni degli scettici non mancano: dalle risposte scoraggianti della Tunisia di Kaïs Saïed sui finanziamenti per arginare la crisi socio-migratoria locale a una certa indeterminatezza nella programmazione degli altri partenariati-pilota con Marocco, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica democratica del Congo e Mozambico; fino all’oggettiva constatazione che l’instabilità libica e la devastante anarchia somala rischiano di dilatare tempi e modi nell’applicazione di numerosi progetti lungo l’arco che va dal Maghreb al Corno d’Africa. Nondimeno la linea è quella giusta, se non perfino obbligata: uscire da una logica predatoria di natura novecentesca per entrare nel dominio dei grandi spazi imperiali sottraendo l’Africa alla spartizione tra i disordinati rigurgiti coloniali europei e la più invasiva presenza dei BRICS, con il loro brutale gradiente di dispotismo orientale. Italia capofila In tale quadro, uscita la Francia dal centro della scena, l’Italia ha la possibilità di giocare un ruolo di capofila a patto che si muova in continuità con le prime mosse “azzardate” da Mario Draghi all’indomani dell’invasione russa in Ucraina, quando l’allora premier – sorretto dal Quirinale e d’intesa con Washington – avviò un fecondo negoziato bilaterale con l’Algeria di Abdelmadjid Tebboune per ridurre al minimo la dipendenza energetica italiana dal gas di Mosca. Dal Nordafrica in giù, le relazioni con le democrazie liberali europee patiscono l’assenza di un multilateralismo coerente con i comuni interessi di sviluppo economico e garanzie nei diritti civili così come di transizione energetica e tecno-ecologica: una missione storicamente assunta dal lavoro di supplenza dei grandi apparati societari semi pubblici e ora, finalmente, in cima all’agenda del decisore politico. Fuori dai nostri confini, la maturità di un’Europa che si vorrebbe rinverdita verrà presto misurata anche da questo indicatore: la capacità di percepire il proprio “Club-Med” con capitale romana come l’epicentro di un’Atlantide longitudinale che sin dal nome arieggia l’orografia unitaria congiunta dalle rive del grande lago Mediterraneo.

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