Mattarella, Meloni e le due Italie

La figura retorica dell’Italia divisa in due gode di grande popolarità, da sempre. Di certo, nel mondo dell’informazione. Dalle condizioni meteo allo sviluppo e alla disoccupazione. Dalla scolarizzazione alla sanità. Ci sono sempre due Italie. Da un po’ di tempo, la semplificazione mediatica è una tentazione anche nel racconto – il più delle volte intuito dalle ombre del retropalco, visto che il proscenio non offre prove evidenti – del rapporto tra istituzioni. In particolare, quello tra il governo e la presidenza del consiglio da una parte e il Quirinale – il Capo dello Stato, dall’altra. Per ogni proscenio, ci sono infiniti retroscena, tanti quanto le firme di chi li scrive. E molti si avventurano nel descrivere uno scontro, che sarebbe in atto da tempo, tra Meloni e Mattarella. Combattuto con il fioretto delle buone maniere istituzionali, ma comunque ad alta intensità e frequenza. L’ultimo episodio dello scontro è - per chi ci crede – il tempo lungo che il Capo dello Stato ha impiegato per la firma del cosiddetto Ddl Nordio, quello dell’abolizione dell’abuso di ufficio, già oggetto di attenzioni da parte del Quirinale che avrebbero portato a integrare un altro provvedimento – il decreto carceri – con la fattispecie del reato di peculato per distrazione. È scontro? Una dialettica irrinunciabile No. La dialettica tra le diverse istituzioni c’è sempre stata. Si muovono con logiche e obiettivi diversi. Il governo determina l’indirizzo politico. La presidenza della Repubblica, per farla semplice, si preoccupa che quell’indirizzo politico non sia tossico per l’unità della nazione e per i valori costituzionali, sovraordinati e regolatori delle attività di tutte le istituzioni. Ognuna al suo posto. Lo ha ricordato Sergio Mattarella il 3 luglio, intervenendo alla settimana sociale dei cattolici: “La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile per qualunque Istituzione, a partire dalla Presidenza della Repubblica, per una leale e irrinunziabile vitalità democratica”. L'Italia in due fazioni E però. Se non si può parlare di istituzioni divise, protagoniste di uno scontro a puntate, si può legittimamente pensare che ci siano due Italie – ecco che torna la figura retorica – che tendono a identificarsi una nella visione politica del primo governo di destra-centro della storia repubblicana, l’altra nei moniti – squisitamente costituzionali – di Sergio Mattarella. È un dato di fatto che sia Giorgia Meloni sia il Presidente della Repubblica, godano di ampia popolarità nelle rilevazioni periodiche dei sondaggisti. E non è un caso che quando l’opposizione invoca la difesa della costituzione contro il tentativo di riforma del centrodestra verso il premierato come uno dei pochissimi collanti del sopravvivente “campo largo “, quell’invocazione è spesso legata all’adesione incondizionata – talvolta vicina alla strumentalizzazione – verso le parole del Capo dello Stato. Parole di democrazia e antifascismo Negli ultimi tempi, la tendenza appena descritta si è manifestata soprattutto quando Mattarella ha parlato di natura della democrazia, di antifascismo, di terrorismo. Il 3 luglio, a Trieste: “Una democrazia ‘della maggioranza’ sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà”. Il 24 luglio, in occasione della cerimonia del Ventaglio, facendo riferimento al pestaggio di un giornalista della Stampa, a Torino, da parte di esponenti di Casa Pound: “Si vanno, negli ultimi tempi, infittendo contestazioni, intimidazioni, quando non aggressioni, nei confronti di giornalisti, che si trovano a documentare fatti. Ma l’informazione è esattamente questo. Come anche a Torino, nei giorni scorsi”. Il 25 aprile, per la festa della Liberazione: “Liberazione, dunque, dall’occupante nazista, liberazione da una terribile guerra, ma anche da una dittatura spietata che, lungo l’arco di un ventennio, aveva soffocato i diritti politici e civili, calpestato le libertà fondamentali, perseguitato gli ebrei e le minoranze, educato i giovani alla sacrilega religione della violenza e del sopruso”. Ancora, gli interventi decisi e definitivi, in occasione del ricordo delle stragi della stazione di Bologna e di quella del treno Italicus, sull’eversione neofascista degli anni ’70 e ’80. Sottolineature politiche A ben vedere, in altri tempi, le parole di Mattarella sarebbero suonate più che ovvie. In nessun modo portatrici di un messaggio “politico”. Ricordare la natura e le radici antifasciste della Repubblica è, dal punto di vista di un capo dello Stato, pienamente nel ruolo che la costituzione gli assegna. La “straordinarietà” di quei messaggi è sancita piuttosto – di questi tempi – nelle sottolineature, nei commenti, nei vari controcanti che esponenti importanti del governo e della maggioranza hanno fatto seguire a quei messaggi e a quelle parole. Altissime figure istituzionali comprese. In conclusione, il futuro di una coabitazione collaborativa e leale tra Governo e Presidenza della Repubblica – anche questa valore costituzionale fondante – non è e non può essere in discussione. Ma maggioranza e opposizione – le due Italie in quella che sembra una tendenza decisa al ritorno del bipolarismo – devono evitare la tentazione di mettere in una luce politica, ogni volta che lo ritengono conveniente, le parole di Mattarella. Che rappresenta l’unità della Nazione, cioè il contrario delle “due Italie”.

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