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Polemica sull’aborto, M5S alla Lega: “La legge non si cambia”

Politica

Dopo la proposta di legge presentata da alcuni parlamentari del Carroccio, i ministri pentastellati mettono in chiaro che “non c’è spazio per alcuna revisione”. Ma Salvini e Di Maio minimizzano: “Polemiche inesistenti, inutile parlarne”

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Ennesima polemica all’interno dell’esecutivo gialloverde tra i due partiti alleati. Questa volta è il tema dell’aborto a sollevare posizioni e opinioni differenti. “Non c'è alcuno spazio per interventi o revisioni della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza”, sottolinea la ministra pentastellata Barbara Lezzi, commentando una proposta di legge della Lega “in materia di adozione del concepito”. “Il principio di autodeterminazione sancito dalla 194 non può essere stravolto”, aggiunge. Ma il vicepremier Matteo Salvini minimizza: “Polemiche inesistenti” e Luigi Di Maio aggiunge: “È un falso problema”.

Salvini: “Aborto non è in discussione”

“Noi tuteliamo le famiglie italiane. Ma divorzio, aborto, parità di diritti tra donne e uomini non sono in discussione”, dice Salvini. E per Di Maio “parlare della 194 non ha senso, è un falso problema. Inutile discutere su queste cose, è evidente che parliamo di una legge indiscutibile”. Duro il Pd: “La Lega ha presentato una proposta di legge per rendere adottabili i feti. Un obbrobrio giuridico che ci riporta a tempi antichi”, afferma Rosato, vice-presidente della Camera.

La proposta della Lega presentata a ottobre

La polemica nasce dopo la presentazione di una proposta di legge, sottoscritta da una cinquantina di parlamentari leghisti (primo firmatario il 27enne Alberto Stefani), che ha l'obiettivo di contrastare, come scritto dai proponenti nel testo, l'applicazione della legge 194 "quale strumento contraccettivo". La proposta leghista “in materia di adozione del concepito” presentata in Parlamento ai primi di ottobre, è stata assegnato in commissione il 15 marzo scorso. Composta da 7 articoli, la legge punta a evitare le interruzioni di gravidanza aprendo alla possibilità, per il bimbo che verrebbe al mondo, di essere adottato da famiglie disponibili.

Cosa prevede la proposta

All'articolo 1 il testo prevede che entro 90 giorni dal concepimento, una donna può avviare la procedura di adozione se il parto e la maternità possano crearle seri pericoli di salute psico-fisica, legati alle condizioni economiche, sociali o familiari o ad anomalie e malformazioni del bambino. Idem se al feto venissero riscontrate patologie gravi dopo i primi 90 giorni. Inoltre la donna, secondo l'articolo 2, dovrà essere informata "obbligatoriamente e per iscritto" sulle alternative all'aborto da parte del consultorio, dell'ospedale o del suo medico di fiducia. Stesse informazioni vanno date al futuro padre. Una volta che la donna in stato di gravidanza ha fatto richiesta di adottabilità, entra in gioco il tribunale dei minori del luogo di residenza della donna: dispone l'adottabilità con un decreto, dopo aver verificato che ci siano le condizioni previste dall'articolo 1. A quel punto la donna ha 7 giorni per revocare quel consenso. Subito dopo la parola passa al pubblico ministero che, entro e non oltre 3 giorni da quando ha ricevuto la richiesta, convoca la donna per verificarne la volontà. Il procedimento viene archiviato qualora la donna scelga di non presentarsi all'incontro con il pm. Secondo la proposta della Lega, entro tre giorni dall'audizione, il pubblico ministero chiede al tribunale di emettere il decreto. Intanto, come spiega l'articolo 6, chi intende adottare può presentare domanda al tribunale dei minori. Partono allora le "indagini" sulle coppie "candidate" ed entro 7 giorni dalla nascita del bambino, vengono individuate quelle idonee. La scelta finale è del tribunale dei minori ("in camera di Consiglio", specifica il comma 4) e la famiglia non può abitare a più di 500 km dal luogo di nascita del bebè. Nella prima fase si tratta in realtà di un affidamento pre-adottivo e i due adulti diventano tutori del bambino. Per due anni, prorogabili ad altri due, sono soggetti ai controlli del tribunale per valutare il buon andamento dell'affidamento, che può essere revocato se ci sono "obiettive e gravi difficoltà insuperabili". Passati due anni, è il tribunale che decide se il piccolo può essere adottato e lo fa con una sentenza in camera di consiglio.