"Si è costruita la figura di un mafioso che fa affari, che veste Armani. Il processo ci restituisce una figura diversa, uno stragista, un carnefice, un sanguinario che ha ucciso persone innocenti e bambini”, ha detto il procuratore aggiunto, Gabriele Paci, nel corso della requisitoria del processo al boss accusato delle stragi di Capaci e via D'Amelio
"Se Messina Denaro non avesse avallato la strategia stragista di Riina, decidendo di non mettersi contro lo Stato, Riina cosa avrebbe fatto?”, si è domandato il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, nel corso della requisitoria del processo al boss latitante Matteo Messina Denaro, accusato delle stragi di Capaci e via D'Amelio. "Intanto - ha continuato Paci - (Riina) non avrebbe potuto contare sui trapanesi e non avrebbe potuto trascorrere parte della latitanza a Mazzara del Vallo e Castelvetrano. Quindi il discorso del consenso dei trapanesi, nella persona di Matteo Messina Denaro, è un consenso fondamentale. Riina non avrebbe mai potuto ordinare quello che ha fatto senza di loro. Se tutti non gli fossero andati dietro lui non avrebbe potuto fare la guerra allo Stato, e quello che la sua mente diabolica aveva già elaborato".
La requisitoria del pm Paci
"Intorno alla latitanza dell'imputato - ha esordito questa mattina Paci - si è costruita la figura di un mafioso che fa affari, che veste Armani, un boss di quella mafia che ha adottato la strategia della sommersione. Il processo ci restituisce una figura diversa, uno stragista, un carnefice, un sanguinario che ha ucciso persone innocenti e bambini. All'epoca delle stragi Messina Denaro aveva 30 anni, e nel '92 Cosa nostra sferra il suo micidiale attacco allo Stato, in risposta alle condanne del maxi processo, condanne diventate definitive il 30 gennaio 1992, nei confronti di centinaia di mafiosi, una svolta nella lotta contro la mafia”.
“La politica, che per decenni era stata a fianco di Cosa nostra - ha aggiunto il magistrato - non era riuscita a intervenire in sua difesa efficacemente come altre volte. E non è l'unico smacco di quell'anno contro Riina, perché nel '92 c'è un altro fatto emblematico: la sentenza di condanna in Corte d'assise d'appello dei mandanti dell'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Processo che aveva istruito Paolo Borsellino. Cosa nostra dunque sferra quell'attacco micidiale e inizia la strategia della tensione".
Paci: “Strategia di attacco con modalità terroristiche"
"Cosa Nostra non si limita a decidere omicidi ma li inserisce in una strategia di attacco allo Stato, un piano politico. Uno Stato in quel momento in grave difficoltà. Un attacco teso a mettere in ginocchio lo Stato e a dettargli le condizioni. In questa strategia si inseriscono gli obiettivi e tra questi c'erano Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Da parte di Matteo Messina Denaro ci fu qualcosa in più cioè quella di irrobustire l'intento di Totò Riina. Sposò la strategia di attacco con modalità terroristiche", ha poi spiegato Paci davanti alla Corte d'Assise di Caltanissetta.
Il pm: “Per Riina era come un figlio”
"Matteo Messina Denaro è uno che brucia le tappe perché nel corso degli anni '80 si dimostra un cavallo di razza. Commette decine di omicidi, anche eccellenti. Diciamo che sotto il profilo della capacità non c'è proprio da discutere. Un fedele di Totò Riina fin dagli anni '80", ha detto il pm. "Della vicinanza di Matteo Messina Denaro a Riina - ha aggiunto Paci - non hanno parlato solo i collaboratori di giustizia ma ne parla lo stesso Riina in carcere come di uno che era la luce dei suoi occhi. Il padre lo aveva messo nelle sue mani. 'E io l'ho fatto buono', diceva ricordando questo mafioso che gli era cresciuto sulle ginocchia. Ne parla come un padre affettuoso, ma all'improvviso esplode la rabbia perché questo giovanotto che lui aveva cresciuto aveva tradito i suoi insegnamenti e così anziché mettere bombe cominciò a fare affari".