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Mafia nel Catanese, boss comandava dal carcere: emesse 20 ordinanze di custodia cautelare

Sicilia

L’ergastolano Pietro Puglisi, prima del 41 bis, dava ordini sulla gestione del clan che aveva base a Belpasso. È quanto emerge dall’operazione dei carabinieri. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, estorsione, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. L’organizzazione colpita è legata alla cosca Santapaola-Ercolano

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Dal carcere, il boss ergastolano 62enne Pietro Puglisi (genero dello storico capomafia deceduto Giuseppe Pulvirenti, detto “U Mappassotu”), prima di essere posto al 41 Bis, dava ordini sulla gestione del clan che aveva la sua base a Belpasso, una volta “Malupasso” - come è stata denominata l'operazione -, ma che si estendeva a diversi vicini paesi etnei. È quanto emerge dall'operazione in corso dei carabinieri del comando provinciale di Catania che, su delega della Procura Distrettuale etnea, stanno eseguendo su tutto il territorio nazionale un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip nei confronti di 20 persone, con cui si dispone il carcere per 18 indagati (tra cui anche Puglisi e i figli Salvatore e Giuseppe, di 41 e 34 anni) e gli arresti domiciliari per altri due. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, estorsione, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. L'organizzazione colpita dall'operazione è legata a Cosa nostra catanese rappresentata dalla cosca Santapaola-Ercolano ed era guidata dalla "famiglia" di Pietro Puglisi.

L'organizzazione dentro e fuori dal carcere

Erano i figli di Puglisi, secondo la ricostruzione della Dda di Catania, a portare all'esterno della prigione gli ordini del padre quando non era sottoposto al 41 Bis. Ed era il figlio 41enne di Puglisi, divenuto collaboratore di giustizia, a gestire personalmente alcune attività estorsive, andando ben oltre i compiti assegnatigli. Le indagini hanno infatti rivelato che l'estorsione era stata diretta dal carcere dal boss con la collaborazione di Salvatore e Giuseppe Puglisi. Le somme estorte alle vittime venivano destinate al mantenimento degli affiliati detenuti, in primis del boss, e al soddisfacimento delle esigenze comuni del gruppo. 
Durante la detenzione in carcere, il comando della "famiglia" era retto da S.M., M.P. C. e A.C. - quest'ultimo coadiuvato dal figlio -, che si avvalevano della collaborazione dei fratelli Bonanno. Poi nel 2017, subito dopo la sua scarcerazione, Salvatore Puglisi ha assunto la leadership del gruppo di Mascalucia.

Le indagini

Le indagini dei carabinieri hanno permesso di ricostruire l'organizzazione e le dinamiche interne alla famiglia mafiosa che ha segnato la storia della criminalità organizzata di Cosa Nostra nel Catanese, anche per la sua alleanza con la famiglia Santapaola-Ercolano, di cui agli inizi degli anni Novanta era stato il "braccio armato" nella violenta e sanguinaria faida tra clan che faceva registrare oltre 100 morti ammazzati l'anno tra città e provincia etnea. Fatta luce anche su 15 estorsioni che - segnala la procura - hanno trovato riscontro nella maggior parte delle vittime. La prima sulla quale si è indagata, nel febbraio 2017, è stata quella a un'imprese edile i cui titolari hanno denunciato la richiesta di denaro ai carabinieri. I militari, nel corso delle indagini, hanno anche fermato sette esponenti del gruppo che stavano organizzando un omicidio di "pulizia interna" per contrasti su un'estorsione e hanno accertato anche che il clan gestiva anche un vasto traffico di marijuana e hashish.