Il killer e boss della camorra casalese, Luigi Venosa, era stato arrestato l'anno scorso. Il 7 agosto è deceduto per una malattia e, ora, la Procura chiede di "seppellire" il caso
Si chiude con una richiesta di archiviazione della Procura di Santa Maria Capua Vetere la drammatica vicenda della cosiddetta "strage della famiglia Martino", avvenuta in un fondo agricolo di San Cipriano d'Aversa, nel settembre del 1982. In quella occasione, quattro persone (tra cui padre, madre e figlio dello stesso nucleo familiare, i Martino appunto) furono assassinate a colpi di pistola e fucile a canne mozze.
Il responsabile della strage è deceduto
Il responsabile di quella strage, avvenuta per futili motivi, il boss della camorra casalese, Luigi Venosa, detto "'o cocchiere", è stato individuato solo lo scorso anno grazie ai collaboratori di giustizia del suo stesso gruppo, ma è deceduto per una malattia il 7 agosto scorso. La sua morte ha obbligato la Procura ad avanzare la richiesta di archiviazione al Gip per estinzione del reato, determinata dalla morte del reo. Le indagini sulla strage avevano ripreso nuovo vigore qualche anno fa grazie alle dichiarazioni di pentiti di camorra, tra cui Umberto Venosa, fratello del "cocchiere" e alcuni suoi nipoti, che hanno parlato della strage del 1982, accusando il boss. In particolare, Umberto Venosa ha riferito ai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta, che hanno condotto le indagini, di quando il fratello Luigi si presentò a casa insanguinato, subito dopo la strage.
La ricostruzione 30 anni dopo
Gli inquirenti hanno riascoltato persone informate sui fatti, già sentite oltre trenta anni fa, e hanno ricostruito quanto avvenne la mattina del 7 settembre 1982. Venosa, è emerso, si era rifugiato in un casolare del fondo della famiglia Martino; fu però scoperto dal proprietario Gioacchino Martino, che si era recato sul terreno per raccogliere le noci con la moglie, Angelina Falco, e il figlio primogenito, Francesco Saverio; sul fondo c'erano anche due braccianti agricoli. Ci fu una lite tra Venosa e Martino, il primo, forte della sua reputazione di criminale da difendere, caricò la pistola che aveva con sé, imbracciò un fucile a canne mozze e sparò, uccidendo Martino e i familiari, oltre al bracciante Armando Clausino; si salvò l'altro agricoltore, Giacomo Nobis, così come il secondogenito di Martino, che non era andato al fondo per impegni di studi.