Trump non è interessato all'Africa: un assist alla penetrazione di Russia e Cina?

Cosa significherà per l’Africa la seconda presidenza Trump? Il leader repubblicano vincitore del voto del 5 novembre tornerà alla Casa Bianca ereditando un’agenda di politica estera che ha visto gli Stati Uniti perdere diverse posizioni nel continente da 1,4 miliardi di abitanti oggetto di un’accesa competizione strategica. Un disimpegno il cui inizio si può far coincidere con la prima amministrazione Trump, segnata da un abbandono del tradizionale multilateralismo, dalla fine del ruolo di leadership americano in diverse missioni di pace, dal definanziamento alla cooperazione allo sviluppo. Trump non ha mai visitato l’Africa da presidente, lasciando l’incombenza alla moglie Melania nel 2018. E le sue scelte hanno sancito un trend che l’amministrazione di Joe Biden – concentrata su altri quadranti geopolitici - non è riuscita a ribaltare. E se l’Africa si è rivelata secondaria nella prima agenda del tycoon potrebbe, sulla carta, esserlo ancora di più nell’era del Trump 2.0, a causa del suo approccio ostile a qualsiasi scenario legato al multilateralismo e della strutturale assenza di un’agenda propria di Washington per l’area. Un dato per tutti: il comando per l’Africa delle forze armate Usa non ha sede nel continente ma in Germania, a Stoccarda. La promessa espressa a dicembre 2023 da Joe Biden di avviare un piano di investimenti da 22 miliardi di dollari in Africa non ha cambiato una situazione che vede il continente pendere gradualmente verso Russia e Cina. Tagli alla cooperazione allo sviluppo? Di conseguenza, l’Africa appare destinata a essere un “di cui” nei rapporti di Washington con altre grandi potenze. Sarà osservata perciò la penetrazione cinese nel quadro di una generale competizione geopolitica con Pechino, mentre è tutto da vedere come l’ampliamento dell’influenza di Mosca nel continente possa diventare oggetto di confronto diplomatico. Scontata appare inoltre l’ipotesi che Trump possa interrompere i finanziamenti all’ Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale per quei programmi che sostengono la contraccezione, l’accesso all’aborto, la lotta ai cambiamenti climatici. Max Primorac, ex vicedirettore dell'Usaid, ha espressamente criticato l’attivismo assunto dall’agenzia su questi fronti nel quadro del Progetto 2025 elaborato dall’Heritage Foundation in cui si raccolgono molte proposte politiche che secondo diversi osservatori potrebbero essere il manifesto di un Trump 2.0 fortemente spostato a destra e radicale. “In molte parti dell'Africa, tali tagli potrebbero essere critici per milioni di ragazze e giovani donne la cui salute riproduttiva e le cui scelte sono ampiamente supportate da programmi finanziati dagli Stati Uniti”, ha notato Time. Ma non finisce qui. Nel 2025 infatti va in scadenza l’ African Growth and Opportunity Act che permette ai Paesi africani che rispondono agli standard di tutela dei diritti umani e di rispetto della democrazia fissati da Washington di portare le loro merci negli Usa con tariffe azzerate o radicalmente abbattute. L’ultimo rinnovo, deciso nel 2015 nell’era di Barak Obama, l’ha esteso di un decennio: ora è in dubbio se Trump voglia o meno spingere per il rilancio di un accordo multilaterale che confligerebbe con la sua visione protezionistica del commercio internazionale. Circa 10 dei 28 miliardi di export dei Paesi aderenti all’Agoa negli Usa sono imputati agli effetti di questo accordo, un cui abbandono creerebbe un danno significativo. Pochi Paesi africani nel radar di Trump Del resto, Trump nel suo precedente mandato ha preferito gli accordi bilaterali con singoli Paesi e sono pochi gli Stati dell’Africa su cui una pur minima attenzione politica è stata rivolta. Tra questi, emergono gli attori-chiave per presidiare scenari sensibili per gli Usa, come il Marocco a cui Trump nel 2020 ha concesso il riconoscimento della sovranità sul Sahara Occidentale o l’Egitto di Abd Fattah al-Sisi, che Trump definì “il mio dittatore preferito”. In Africa orientale poi è da ritenersi abbastanza solida la relazione degli Usa col Kenya, elevato a “Major Non-Nato Ally” degli Usa da Biden, per il presidio sulla Somalia in perenne crisi. Probabilmente destinato a scomparire dai radar, invece, il Sudan: non c’è traccia nella proposta politica di Trump di un piano per porre fine alla guerra civile che devasta il Paese da un anno e mezzo. “Quando l'allora Segretario di Stato Mike Pompeo visitò il Sudan dopo la rivoluzione popolare che portò alla cacciata del leader islamista-militare Omar al-Bashir”, ha scritto per la Bbc Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation, il suo obiettivo principale era un semplice scambio: l'America avrebbe revocato le sanzioni quando il Sudan avesse accettato di firmare gli Accordi di Abramo” con Israele. Un esempio, fra tanti, della scarsa attenzione di Trump per il continente.