Trump o Harris, a chi stanno più a cuore le criptovalute?

In questa fase finale sempre più incerta e carica di tensioni della campagna elettorale americana, una convinzione si sta radicando tra gli analisti finanziari: qualunque sia l’esito del voto di novembre, è in arrivo una svolta per il mercato delle criptovalute. Ipotesi confermata anche dalle quotazioni delle ultime settimane: Bitcoin, la valuta digitale più importante del mondo, ha toccato quota 69mila dollari, poco sotto il suo massimo storico di 73mila dollari. Un rialzo dovuto in buona parte all’allentamento delle politiche monetarie delle banche centrali, con tagli ai tassi e conseguente disponibilità di liquidità che hanno fatto da traino alla crescita delle criptovalute. Ma non è solo il contesto macroeconomico a generare un diffuso ottimismo sul futuro delle monete virtuali. La percezione è che il vento a Washington sia cambiato e abbia spazzato via i timori di buona parte dell’establishment verso un modello decentrato visto spesso con molta diffidenza. Le posizioni di Donald Trump “Il bitcoin non è denaro, è altamente volatile e basato sul nulla. Sembra una truffa. Negli Stati Uniti abbiamo una sola valuta reale ed è più forte che mai. Si chiama dollaro". Sono parole pronunciate in diverse occasioni da Donald Trump all’epoca della sua presidenza e che sintetizzavano la visione di molti politici americani di entrambi gli schieramenti. Con una netta inversione di rotta, lo stesso Trump il 27 luglio scorso è salito sul palco della Bitcoin Conference di Nashville e ha promesso che, se eletto, renderà “gli Stati Uniti la cripto capitale del pianeta” tramite la riscrittura nei primi cento giorni delle attuali regole e l’istituzione del Consiglio Presidenziale per il bitcoin e le criptovalute. Aggiungendo inoltre l’intenzione di rimuovere il Presidente della Securities and Exchange Commission Gary Gensler, da sempre ostile alle criptovalute. Queste affermazioni hanno trasformato Trump nel paladino degli operatori della finanza decentralizzata. L’astuzia politica di Trump lo ha spinto a intercettare un interessante bacino di voti. Dopo gli scandali che hanno coinvolto famose società del settore come FTX e Binance, la fiducia nelle monete virtuali sta risalendo. In particolare, secondo un sondaggio della società Harris Poll, un elettore su cinque degli swing states considera le criptovalute un tema dirimente di queste elezioni. Le posizioni di Kamala Harris Sulla scia di questi numeri anche Kamala Harris è intervenuta per segnare una discontinuità rispetto a Joe Biden, che ha frenato in questi anni le criptovalute con regole severe. A fine settembre durante una raccolta fondi a Wall Street, la vicepresidente ha dichiarato di voler incoraggiare “le tecnologie innovative come gli asset digitali, proteggendo al contempo i consumatori e gli investitori”. La candidata democratica, considerata molto vicina alla Silicon Valley, non si è sbilanciata come Trump perché su questo tema deve fare i conti con le resistenze di alcuni rappresentanti del suo partito, a cominciare da Elizabeth Warren. Ma le sue parole sono state comunque accolte con grande attenzione da un settore che ha investito molto in queste elezioni. Secondo un report del gruppo di advocacy Public Citizen, le principali società cripto hanno elargito più di 119 milioni di dollari ai due candidati, il 48% dell’intero ammontare delle donazioni provenienti dalle aziende private. Un investimento mai così massiccio nella storia e dal quale in molti si aspettano un ritorno post-elettorale. È difficile in questo frangente in cui le proposte dei candidati si intersecano con i calcoli politici mettere a fuoco gli scenari per il settore delle valute virtuali. Ma di certo sia Trump che Harris hanno pubblicamente abbandonato l’ostracismo del passato e il rinnovato attivismo degli operatori cripto lascia intravedere all’orizzonte importanti evoluzioni.

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