Come cambiano i rapporti Cina-Usa con la vittoria di Donald Trump

“Conosci il tuo nemico e non dovrai temere il risultato di cento battaglie”. All’indomani della rielezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, gli utenti dei social media in Cina commentavano così, citando il trattato filosofico L’arte della guerra di Sun Zi, il ritorno dell’imprenditore repubblicano alla Casa Bianca. Un riconoscimento unanime della rivalità strategica tra Washington e Pechino, accompagnato dalla consapevolezza che la vittoria del tycoon presenterà sfide su più fronti per la Repubblica popolare cinese . Dalle tariffe sulle importazioni alla questione taiwanese, passando per il riassetto delle alleanze statunitensi nell’Indo-Pacifico, la Cina si prepara al Trump-bis sperando di poter contare sul lato da businessman pragmatico del leader repubblicano, ma ricordando bene l’imprevedibilità della politica estera che aveva caratterizzato il suo primo mandato. Reazioni social e istituzionali Dalla mattina del 6 novembre, la vittoria di Trump e il futuro delle relazioni Cina-Usa sono in pianta stabile tra gli argomenti più discussi su Weibo e Douyin, i due social media più quotati nella Rpc, con picchi di visualizzazioni nell’ordine dei milioni. C’è chi si augura che la vena imprenditoriale di Trump possa portare a un approccio con la Cina “meno ideologico” di quello dell’amministrazione Biden, chi invece commenta che “ci sarà da ridere nei prossimi quattro anni” e chi sostiene che “nessun presidente americano sarà mai amichevole con la Rpc”. L’esito del voto e le sue conseguenze, insomma, sono stati osservati con grande attenzione anche dal web cinese, così come era già accaduto per i momenti salienti della campagna elettorale, commentata a colpi di meme. Ai vertici del Partito comunista, invece, dopo le tiepide congratulazioni affidate al ministero degli Affari esteri a spoglio ultimato, che riferivano di “rispettare la volontà del popolo americano”, il presidente cinese Xi Jinping è stato uno dei primi a congratularsi con Trump per la sua rielezione. Nel suo messaggio, Xi ha sottolineato che “una relazione Cina-Usa stabile, sana e sostenibile è in linea con gli interessi comuni dei due Paesi” e che, soprattutto, risponderebbe alle “aspettative della comunità internazionale”. Guerra commerciale e isolazionismo Non serve attendere la squadra di governo per sapere che la lente con cui Trump guarderà alla Cina sarà prima di tutto quella del commercio. In campagna elettorale il tycoon ha infatti promesso un aumento dei dazi sulle merci importate dalla Cina fino al 60% e ha ribadito a più riprese il suo impegno a riportare in auge il manufatturiero Made in Usa. Si tratta del proseguimento di quella “guerra dei dazi” cominciata durante il suo primo mandato che tra gli obiettivi contava anche il rallentamento del progresso tecnologico cinese, azzoppato tramite interruzioni alle filiere di approvvigionamento e campagne contro i campioni nazionali del tech cinese come Huawei. Con un’economia che ancora arranca e che difficilmente raggiungerà il target del 5% di crescita del Pil fissato per quest’anno, la Cina guarda con preoccupazione a questo sviluppo. Sul tema è intervenuta la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, che a tre giorni dal voto ha dichiarato che “non ci sono vincitori in una guerra di dazi e nessuno nel mondo ne trarrebbe vantaggio”. Sul versante tecnologico, si attende di capire quale ruolo potrebbe giocare Elon Musk, alleato di Trump che con la Cina ha grandi interessi e che può vantare relazioni personali con i vertici di Pechino, a partire dal premier Li Qiang. Se da una parte la presenza del tech mogul tra le schiere di repubblicani rivela l’ambizione trumpiana di investire in tecnologia e innovazione durante il suo mandato, la vicinanza di Musk con la Cina, dove dal 2018 ha cominciato a produrre le sue Tesla, potrebbero facilitare i rapporti tra le due potenze. La questione taiwanese Lo Stretto di Taiwan e la possibile escalation tra Cina e Stati Uniti per la difesa dell’isola democratica rimane un fronte aperto. Nelle scorse settimane Trump si è detto sicuro che Xi non attaccherà militarmente Taipei. “Sa che sono folle”, aveva detto il tycoon, promettendo ancora una volta tariffe contro Pechino come ritorsione. Con Trump di nuovo alla Casa Bianca e i dossier interni che avranno la priorità, la Cina spera quindi nel mantenimento dell’ambiguità strategica statunitense, vale a dire quella che vede Washington rifornire militarmente Taiwan senza però riconoscerne formalmente l’indipendenza. Secondo diversi analisti, tuttavia, Trump potrebbe chiedere a Taiwan di incrementare le spese per la difesa, intensificando la pressione su Taipei per costruire negli Stati Uniti altri stabilimenti per la produzione di microchip dopo quello della leader del settore Tsmc in arrivo in Arizona. Anche per questo il presidente taiwanese, Lai Ching-te, si è affrettato a ribadire nel suo messaggio di congratulazioni che Taiwan e Usa hanno una “partnership di lunga data fondata su valori e interessi condivisi”. Al netto delle speculazioni, un approccio pragmatico su Taiwan potrebbe essere messo in discussione dall'imprevedibilità di Trump. La Cina ancora ricorda quando, nel 2016, Trump accettò la telefonata di congratulazioni dell’allora presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, andando contro la prassi che vieta a Washington di avere contatti diplomatici ufficiali con Taipei e irritando Pechino per la violazione del principio dell’“unica Cina”. Fonti di Bloomberg e del quotidiano di Singapore, Strait Times, parlano di una telefonata simile da parte di Lai, ma non è chiaro se ci sarà e soprattutto se Trump risponderà. Gli alleati di Trump nell'Indo-Pacifico Come Taiwan, anche gli altri alleati statunitensi in Asia temono il disimpegno trumpiano nella regione. Il neopresidente eletto si è più volte dimostrato scettico nei confronti delle organizzazioni internazionali e sembra impaziente di ridurre la spesa militare per supportare le alleanze al di fuori del Paese. La parola chiave, in questo caso, è “autosufficienza”, con Trump che potrebbe chiedere a Tokyo e Seul di investire maggiormente nella difesa. Il tutto, però, in un momento di grande tensione nella penisola coreana e con una crisi interna in corso per il Giappone. Da capire è anche quale ruolo gli Stati Uniti di Trump avranno nella guerra in Ucraina, che il leader repubblicano ha detto di poter terminare “in 24 ore”. L’apertura al dialogo con la Russia, così come lo storico riavvicinamento con la Corea del Nord di Kim Jong-un messo in atto nel primo mandato Trump, sono due ulteriori elementi di fastidio per Pechino, che finora ha provato a presentarsi come l’unica potenza in grado di dialogare in modo efficace con entrambi.

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