Niente maxi-piano per la Cina: la sfida Trump resta aperta

La Cina prepara il rilancio dell’economia per affrontare il calo della crescita e la sfida del ritorno al potere di Donald Trump. Il Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo, il Parlamento di Pechino, si è riunito dal 4 all’8 novembre per discutere della condizione economica della Repubblica Popolare e capire come rispondere alla difficile congiuntura del Paese. Si prevedeva che il Parlamento potesse mettere nero su bianco un piano di intervento pubblico nell’economia di un calibro mai visto negli ultimi quindici anni. La Cina, secondo molti osservatori, necessiterebbe infatti di un progetto di questo tipo per sostenere la produzione industriale, le infrastrutture, le costruzioni, i servizi finanziari, l’innovazione e le autorità locali. Ma in questa riunione il piano più ampio di investimento dai tempi del progetto promosso in risposta alla Grande Recessione nel 2008 non si è materializzato. Allora Pechino mise in campo 4mila miliardi di yuan col fine di stimolare l’economia nazionale e il sistema globale, contribuendo a stabilizzare i mercati internazionali. Adesso, nonostante le attese, nessun progetto è stato varato dal Comitato. Sostegno al debito, ma non maxi-investimento “Lo stimolo tanto atteso per l’economia cinese e in parte annunciato nelle settimane passate non si è materializzato”, commenta Filippo Fasulo, direttore dell’Osservatorio Geoeconomia di Ispi, che aggiunge: “Le misure assunte oggi serviranno a stabilizzare il debito degli enti locali, che è certamente un problema, ma non fa molto per rilanciare i consumi e, dunque, la crescita in rallentamento strutturale”. La parola decisiva passa al governo e al presidente Xi Jinping. Ai tempi della Grande Recessione fu il presidente Hu Jintao a prendere la responsabilità di avviare il programma, in un contesto in cui la spesa cinese fu vista come decisiva per la risposta globale alla recessione che colpiva le economie più avanzate. Oggi il quadro per Pechino è decisamente complesso e Xi deve ponderare bene la risposta: forse anche per questo è emerso un temporeggiamento. La Cina si trova oggi ad affrontare una delicata congiuntura economica. Il Fondo Monetario Internazionale ha di recente abbassato a meno del 5% le previsioni di crescita della Repubblica Popolare per l'anno in corso, e l'onda lunga del Covid-19, delle prolungate restrizioni alle attività e, soprattutto, del clima di chiusura agli investimenti e ai rapporti sull'estero che ha portato con sé ha, secondo molti analisti, prodotto conseguenze durature. Inoltre, come ha ricordato il Financial Times, il crollo del mercato immobiliare ha ridotto il patrimonio di milioni di persone e ridotto le prospettive di un settore, quello delle costruzioni, che da solo vale il 30% del Pil. La sfida Trump A settembre, per ovviare a questi problemi, la Banca centrale cinese ha annunciato un maxi-piano di stimolo da oltre 300 miliardi di yuan per fermare il declino della borsa e la crisi di diversi titoli quotati a Shanghai e Hong Kong. Iniettando risorse nel sistema finanziario, la Banca centrale ha mirato a restituire fiducia agli investitori sulla stabilità del Paese. Ora è importante capire quali saranno le prossime mosse con cui Pechino vorrà consolidare l’economia della Repubblica popolare di fronte all’imminente ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. L’amministrazione uscente di Joe Biden non è stata certamente morbida contro la Cina e ha imposto severe restrizioni all’esportazione di tecnologie critiche, di prodotti come i chip per l’intelligenza artificiale e i semiconduttori di valore maggiore, oltre che pesanti dazi sulle auto elettriche. Ma Pechino guarda, memore del quadriennio 2017-2021 e della campagna elettorale, a un ulteriore inasprimento dal prossimo 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Trump: "Trump ha vinto le elezioni con un programma fondato anche sull'aumento dei dazi all'importazione rivolto principalmente contro la Cina", spiega la Bbc. E questa volta il livello massimo delle tariffe potrebbe portare a dazi al 60% su molte categorie di prodotti, danneggiando nettamente l'export della Repubblica Popolare. E dunque colpendo ulteriormente il suo percorso di sviluppo. Su questo fronte Trump rafforzerebbe una linea di tendenza che durante il suo primo mandato e quello di Biden ha conosciuto una sostanziale continuità, quella del contenimento della Repubblica Popolare in campo economico. Obiettivo complesso che però questa volta potrebbe essere cavalcato da Washington sfruttando l’inedita fase di instabilità economica vissuta dalla Repubblica Popolare e dovuta principalmente a dinamiche interne di lungo corso che, però, impattano sulla competitività su scala globale della seconda potenza del pianeta.

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