In Gran Bretagna un sedicenne è il più giovane imputato mai comparso davanti all’anti-terrorismo: animava una cellula neonazista di giovanissimi. Le community dei videogiochi stanno diventando una delle brecce che l’estremismo cerca di forzare per far circolare la propaganda e arruolare proseliti. Un focus sulla minaccia.
“Si era radicalizzato online”. Negli ultimi anni, la frequenza di questa espressione la avvicina ad altre frasi fatte, o di comodo, della cronaca, come “secondo i primi rilievi” o “ancora ignoto il movente”. A volte, però, semplifica la complessità del fenomeno, racchiudendo sotto un’unica etichetta – quella di un web oscuro e fitto di pericoli – i mille rivoli di quello stesso fiume carsico. Internet ha un lato oscuro, in questo articolo cerchiamo di esplorare una faccia dell’estremismo.
Interventismo a scoppio ritardato
Recentemente, le piattaforme social “mainstream” si sono contraddistinte per un interventismo maggiore del passato. Si è cominciato dai “disclaimer” in una escalation arrivata dapprima all’oscuramento e poi al ban da Twitter dell’ex presidente americano Donald Trump. Un precedente storico, ad alto tasso simbolico. In altri termini, è stata intaccata la punta dell’iceberg.
Se durante il mandato del tycoon la alt-right che ha gridato alla “censura” è emersa alla luce del sole, il contraccolpo subìto in termini di agibilità (social)mediatica ridimensiona solo in parte la potenza di fuoco di chi, già in precedenza, era abituato a muoversi fuori dalle piste più battute di internet. Una delle ultime frontiere sono i videogiochi.
La "cellula dei bambini" in Gran Bretagna
Ne ha scritto a febbraio il Guardian, sulla scia del processo a un 16enne della Cornovaglia per fatti che l’hanno coinvolto a partire da quando aveva 13 anni. Il più giovane imputato mai comparso davanti all’anti-terrorismo. A quell’età ha scaricato una manuale per costruire una bomba artigianale, in seguito è diventato il leader di un gruppo neonazista (Feuerkrieg Division, anche noto con la sigla FKD) che, oltre a disseminare materiale razzista in rete, glorificava gli attentati e teorizzava di commetterne da “lupi sciolti”. Ci è andato vicino un altro affiliato, Paul Dunleavy, arrestato l’anno scorso prima di poter colpire.
Secondo gli inquirenti britannici, è attiva una vera e propria cellula del suprematismo bianco. Composta da ragazzini: almeno 17 sono stati fermati dall’anti-terrorismo nell’ultimo anno e mezzo, secondo la ricostruzione del Guardian. Il gruppo discuteva come acquistare e modificare armi, con la prospettiva – i processi diranno quanto concreta – di organizzare un attentato a Dover contro i migranti. Il governo inglese, tramite la commissione per il contrasto all’estremismo dell’Home Office (il ministero dell’Interno), ha confermato l’esistenza della minaccia: l’ultradestra cerca proseliti online, nelle zone d’ombra dove la moderazione si allenta. Alla periferia dell’impero che frequentiamo ogni giorno.
La gamificazione del terrorismo
Oltre al sottobosco di video, meme e gif islamofobi o antisemiti, la tendenza descritta dal quotidiano britannico riguarda i videogame. Per esempio, Roblox – un simulatore di mondi virtuali – è stato utilizzato per ricreare alcune delle stragi più efferate del decennio, come quella di Anders Breivik nel 2011 a Utoya in Norvegia, o gli attentati di Christchurch in Nuova Zelanda ed El Paso, Texas. Il gergo del gioco, assieme a quello del più popolare Minecraft¸ farebbe parte dell’armamentario usato dagli estremisti per accattivarsi nuove reclute. Patriotic Alternative, altra formazione suprematista britannica, sarebbe invece sbarcata su Call of Duty, lo sparatutto per eccellenza, dove ha organizzato tornei riservati ai membri.
I mesi di pandemia, con la quarantena forzata e lo schermo del pc (o il joystick) come unica evasione, hanno accelerato fenomeni di radicalizzazione già in corso, per esempio in America. Va ricordato che quello videoludico è solo uno degli svariati terreni di caccia degli hate groups, interessati a infiltrarsi ovunque ci sia una community virtuale. In passato, l’ultradestra ha anche provato a produrre in casa alcuni videogames.
Passato e presente delle infiltrazioni
Hezbollah fu precursore già nel 2003 con Special Force, che metteva in scena vendette militari contro l’esercito israeliano, ma la scorsa estate sui canali Telegram dell’alt-right venivano promosse simulazioni dove travolgere a bordo di un veicolo i manifestanti del movimento Black Lives Matter nei giorni delle manifestazioni di massa dopo l’omicidio di George Floyd. Ai tempi della bolla di Pokémon Go, l’organo della alt-right statunitense, il Daily Stormer, organizzò una “challenge”, spedendo i militanti a distribuire volantini in corrispondenza delle “palestre”, punti nevralgici di quella specie di caccia al tesoro in realtà aumentata.
In alcuni casi, trascorrono settimane prima che le piattaforme se ne accorgano e rimuovano i titoli, spesso gratuiti, dagli store online. Un anno fa, un’inchiesta del Financial Times titolò sulla “gamificazione del terrore”, per spiegare come l’estremismo, anche quello di stampo islamista, sia al passo con i tempi, per esempio con canali su Discord, un hub usato per chattare dai giocatori. È qui che avvenne il pre-raduno dei suprematisti di Charlottesville nel 2017, uno dei punti di svolta del presente americano (la “condanna” di Trump li equiparò agli antifascisti, di fronte a quei fatti Joe Biden decise di candidarsi alla presidenza).
La breccia sulle nuove generazioni
Se sulle piattaforme ormai consolidate come alternativa a quelle generaliste – come Gab, Parler e 8chan (risorto come 8kun) – gravitano soprattutto fasce demografiche già adulte, le comunità online dei videogiochi rappresentano per la destra radicale una chance per provare a far attecchire messaggi e slogan in seno a un pubblico più giovane. E più indifeso. Con le dovute distinzioni, questo bacino è simile a quello che spende ore su TikTok invece di Facebook.
Naturalmente, i videogiochi sono solo una delle brecce, e nemmeno la principale, che l’estremismo di ogni colore cerca di forzare per far circolare la sua propaganda, ma l’allarme del Regno Unito, con la presunta “cellula dei bambini”, suona come un monito a non abbassare la guardia.