Influencer a Gaza: come è andata l’operazione voluta da Israele

Nelle società digitali i conflitti non si combattono più solo nei cieli e sul campo, ma sempre più c’è una guerra ibrida e asimmetrica che si consuma a colpi di post e di attori impegnati a presidiare le bolle cognitive che polarizzano la quotidianità dei social media. In Ucraina come a Gaza non fa differenza. La strategia dei governi e degli eserciti, regolari o meno che siano, punta al controllo e alla manipolazione delle narrazioni da dare in pasto all’opinione pubblica online. In tempo di pace e a maggior ragione durante una guerra. Così se Donald Trump per la prima volta nella storia ha deciso di consentire a podcaster, content creator e influencer di accreditarsi per le conferenze stampa alla Casa Bianca, perché stupirsi che il governo israeliano ingaggi ufficialmente dieci influencer per pompare interazioni e visualizzazioni nel serbatoio dell’operazione mediatica “Reveal the Truth”? La politica, al pari di tante altre attività sociali, è legittimata dal voto dei cittadini, ma non di meno, anche dal consenso e dal favore che gli arriva e che riesce a generare nei follower. È così, e chi ancora fa finta di scandalizzarsi o di rabbrividire rispetto a queste considerazioni dimentica o vuole ignorare che nel 2025 Facebook conta oltre 3 miliardi di utenti attivi mensili, Instagram altri 2 miliardi, TikTok è già a 1,6 mentre LinkedIn ha “appena” 1,2 miliardi di utenti attivi. Numeri che spostano il fronte principale delle contese militari dalle trincee alle piattaforme. Del resto il “tour – come ha chiarito il Ministero degli Esteri – è stato realizzato per contrastare la campagna della fame sostenuta da Hamas per screditare l’immagine di Israele sulla scena interazionale”. D’altro canto, sono già diversi anni che gli studiosi stanno provando a comprendere le relazioni tra politica e influencer marketing, come “le idee fondamentali della cultura degli influencer, l’autenticità, l’intimità, e il self-branding – come scrivono ad esempio Johanna Arnesson e Hanna Reinikainen nel loro libro Influencer Politics pubblicato nel 2024 – riescano a modellare i modi in cui la politica viene espressa e compresa in questo contesto, oltre ad aprire lo spazio per nuovi modi di connettersi e interagire con il pubblico”. I primi risultati dell'influencer tour Comunque, a qualche giorno di distanza c’è da evidenziare come l’influencer tour ai siti della Gaza Humanitarian Foundation, dove sono stoccati gli aiuti alimentari prima della distribuzione, non sembra aver ottenuto grandi risultati. La maggior parte dei content creator coinvolti ha postato un solo video e solo due di loro, precisamente Eitan Fischberger, il cui profilo X ha da poco superato i 50 mila follower, e Jeremy Abramson, che su Instagram ha un fandom di 460 mila follower, hanno superato il milione di visualizzazione. 1,2 milioni per il primo oltre 47 mila interazioni e 1,4 per il secondo che ha ottenuto meno di 16 mila interazioni finali. A scorrere l’elenco degli altri influencer, che hanno incassato risultati comunque inferiori, troviamo Xavier DuRousseau che ha postato un solo video sui tre social media che popola, Instagram, Facebook e TikTok, ottenendo però il risultato più corposo sul prima con 818 mila visualizzazioni e 46 mila interazioni. Tutti gli altri invece, hanno incassato numeri più contenuti come Brooke Goldstein che si è fermata su Instagram a 67 mila visualizzazioni o a Marwan Jaber che per raggiungere la soglia delle 422 mila visualizzazioni ha pubblicato ben 7 video della sua visita nei siti di Gaza. Senza scorrere i dati degli altri influencer assoldati per l’operazione “rivelare la verità”, qualcuno potrebbe pensare che questi risultati affatto straordinari potrebbero essere letti come un flop della contro-campagna israeliana contro l’euristica della fame portata avanti da Hamas, ma per non cadere nella trappola occorre rammentare che in questi casi la strategia risulta efficace non se ottiene l’hype di giornata, ma al contrario se inizia a lasciare tracce digitali negli ecosistemi cognitivi degli utenti. Siamo di fronte a una semina estensiva e non a una raccolta intensiva dell’interazione. La guerra delle euristiche digitali si combatte principalmente pensando al domani e non solo pilotando le polarizzazioni di giornata. Da questo punto vista, il confronto tra Israele e Hamas sarà ancora lungo e profondo.

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Domenico Giordano