Perché gli incendi in Spagna sono anche una questione politica

È una catastrofe ambientale, certificata dai numeri. Secondo quelli pubblicati dal Sistema europeo di informazione sugli incendi boschivi di Copernicus dall’inizio dell’anno in Spagna sono andati in fumo 373mila ettari di terreno: come dire quasi 40 campi da calcio. È il dato peggiore dal 2006. È una tragedia umana, perché sono già quattro le persone che hanno perso la vita in pochi giorni. Tra loro anche due volontari dei vigili del fuoco. Decine i villaggi evacuati, migliaia le persone costrette a lasciare le proprie case, e molte di queste totalmente distrutte dalle fiamme. Ma gli incendi che da quasi due settimane devastano la Spagna sono anche una questione politica. Con un rimpallo di accuse tra le amministrazioni regionali e il governo nazionale che ricorda molto quanto accaduto in un’altra drammatica situazione, quella dell’alluvione di Valencia di novembre. "Il dovere di Sanchez è prestare aiuto, non lesinare e improvvisare sempre": ha scritto su X martedì 19 agosto il leader del Partito Popolare, Alberto Nunez Feijoo, attaccando il presidente del consiglio e leader del Partito Socialista. Poco dopo è emerso che solo cinque giorni prima – quando già centinaia di ettari erano in fumo - l’esecutivo socialista aveva fatto richiesta alla Protezione civile nazionale di ulteriori mezzi e uomini da inviare in aiuto delle regioni più colpite. E cioè Galizia, Castiglia e León, ed Estremadura, comunità autonome guidate rispettivamente da Alfonso Rueda, Alfonso Fernandez Manueco e María Guardiola Martín, tutti governatori del Partito Popolare. I quali però, a loro volta, non hanno voluto innalzare lo stato di emergenza al livello 3, quello nazionale, proprio per non demandare l’intera gestione dell’emergenza all’esecutivo di Madrid. Una dinamica del tutto analoga a quanto accaduto a novembre durante i tragici giorni della Dana di Valencia, in cui morirono oltre 200 persone: anche allora il governatore Carlos Mazón non volle chiedere lo stato di emergenza nazionale e dunque cedere completamente i poteri gestionali, anche allora l’intervento del governo – per esempio con gli uomini dell’Esercito – fu tardivo. Di fatto, proprio per la struttura federale del regno spagnolo, è un problema che si pone ogni qual volta una regione è guidata localmente da un partito di segno opposto a quello del governo nazionale: da un lato quest’ultimo è una sorta di “anatra zoppa”, dall’altro le regioni spesso non hanno know-how e mezzi sufficienti per gestire in totale autonomia situazioni complesse. Quando si tratta di tragedie che costano tanto in termini di vite e di risorse, inevitabilmente la bomba politica esplode. Forse anche per questo, oltre che per la consapevolezza che le catastrofi climatiche sono e saranno sempre più frequenti, il premier Sanchez propone ora di spostare la competenza delle politiche relative all’emergenza climatica dal livello regionale a quello statale, promettendo di avviare da settembre la discussione politica sul tema a tutti i livelli. Nel frattempo, per la dichiarazione dello stato di emergenza a livello nazionale delle aree colpite, occorrerà attendere fino a martedì 26 agosto.

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Giuliana De Vivo