Barack Obama compie 64 anni, qual è la sua eredità politica?

Oggi Barack Obama compie 64 anni. E gli facciamo gli auguri, un po’ per educazione, un po’ perché pensiamo ne abbia bisogno. Questo perché è destino di quelli come lui, che diventano presidenti molto giovani assistere alla sorte che tocca alla loro eredità politica. E cosa resta a quasi dieci anni dalla fine degli otto anni della presidenza di Barack Obama? Non molto a essere sinceri. E questo nonostante, ancora oggi, Obama sia una delle figure politiche più popolari e amate, non solo dall’elettorato democratico. Eppure, la sua legacy, non è invecchiata particolarmente bene. Per capire perché occorre darsi un po’ di prospettiva e guardare le cose prima dal breve e poi dal lungo periodo. Osservando le cose da vicino, non serve nemmeno guardare, basta vedere: l’8 novembre del 2016, con la forza di uno schiaffo, gli americani scelsero Donald Trump, ritenuto preferibile a Hillary Clinton, candidata che, senza addentrarci troppo nei distinguo, avrebbe agito in sostanziale continuità con la presidenza Obama. In pratica, l’elezione di Trump fu, tra le tante cose, anche un colossale e fragoroso disconoscimento della presidenza Obama Per capire perché, però, occorre guardare a quegli anni un po’ più da lontano, per esempio da oggi. Quel che vediamo oggi è un’America divisa, molto lontana dal “We” che era, non a caso, centro e architrave dello slogan più famoso di Barack Obama: “Yes, We Can”. Nell’America di oggi non c’è più nessun “We”. Ce ne sono molti, sempre più numerosi, parcellizzati, reciprocamente ostili. Come se quel grande “noi” fosse deflagrato in tanti piccoli “loro”. Tante micro comunità che oggi costituiscono, per paradosso e contro la sua volontà, il lascito più evidente della prima presidenza afro-americana della storia degli Stati Uniti d’America. Barack Obama, con la sua presidenza fortemente simbolica e intinta nell’arte oratoria di uno dei retori più efficaci degli ultimi decenni, avrebbe potuto tenere a battesimo la nascita di una nuova America, pacificata, speranzosa, unita. Invece, alle spalle se ne è lasciata una lacerata, arrabbiata, carica di rancore e diffidenza. E questo, è bene chiarire, è successo indipendentemente dai suoi risultati economici e amministrativi, che pure sono stati decisamente buoni. Obama entrò in carica nel gennaio 2009, ritrovandosi alla guida di un’America in piena crisi finanziaria, ancora tramortita dal crack di Lehman Brothers, con la disoccupazione alle stelle e i pignoramenti all’ordine del giorno. Alla fine dei suoi mandati l’economia era tornata fiorente, l’occupazione a livelli alti, le banche veicolo di investimenti. Inoltre, nei primi mesi della sua presidenza, Obama era riuscito a portare a compimento la sua promessa elettorale più importante e simbolica: la riforma sanitaria. Ma tutto questo, nel 2016, non bastò a convincere i cittadini americani a votare un presidente in sostanziale continuità, e a non scegliere un candidato a lui antitetico. Perché il problema, con i lasciti politici, è sempre che rispecchiano la cifra delle figure che dovrebbero ricordare. E la cifra politica di Obama era stata nel suo fortissimo, radicale, completo simbolismo di unità, speranza e rinascita. E quel simbolismo ha generato, con una forza eguale e contraria, la sua antitesi, dando la stura a pulsioni conservatrici e retrive. E tra l’altro, lo ha fatto prima dell’arrivo di Trump sulla scena. Nei primi tre anni della presidenza Obama i crimini d’odio crebbero del 35%; lo stesso fecero gli atti di terrorismo dell’estrema destra suprematista bianca, oggi considerati il maggiore pericolo interno agli USA. Nello stesso periodo esplosero anche i fenomeni pieni di rabbia, a sinistra, di Occupy Wall Street, Black Lives Matter, e a destra, dei Tea Party, come se la società americana si stesse preparando alla divisione in bande che ne è oggi la caratteristica principale. E che forse, contrariamente ai pronostici e alle intenzioni di Obama, è a conti fatti il suo lascito principale. Nel suo discorso della vittoria, nella notte di Chicago del 5 novembre 2008, Obama disse: “Non siamo mai stati un insieme di stati rossi e stati blu; siamo, e saremo sempre, gli Stati Uniti d'America”. Quella notte a molti era parso vero. Forse un giorno lo sembrerà di nuovo. Oggi, però, non potrebbe essere più lontano dalla realtà.

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Luciana Grosso