Somalia, la guerra dimenticata che infiamma il Corno d’Africa

In Somalia tornano a soffiare i venti di guerra. A riaccendere le ostilità è il rilancio dell’offensiva del gruppo jihadista Al-Shabaab, legato ad al-Qaeda. La formazione ha intensificato le sue operazioni militari contro il governo di Mogadiscio a partire da febbraio, con l’avvio dell’“Operazione Ramadan”, ma nelle ultime settimane gli attacchi si sono fatti più frequenti e violenti. Domenica i miliziani guidati dall’emiro Ahmed Diriye hanno rivendicato la conquista di Mahas, nodo strategico per le comunicazioni e la logistica dell’esercito somalo. La stessa città, dieci anni fa, era stata strappata ad Al-Shabaab dalle truppe regolari con l’aiuto dell’Etiopia. Ora i jihadisti l’hanno riconquistata, segnando un punto pesante sul campo. L’assalto a Mahas e la crisi dell’esercito somalo L’attacco, secondo quanto riferito dal Somali Guardian, è cominciato con un’autobomba suicida contro le forze di sicurezza, seguita da un’offensiva su più fronti. Mentre l’esercito e le milizie locali cercavano di contenere l’assalto proveniente da nord, un secondo contingente jihadista ha sfondato le difese a sud, prendendo il controllo della città. Mahas è la seconda località caduta in mano ai ribelli in poche settimane, dopo Tardo, anch’essa nel centro del Paese. L’offensiva di Al-Shabaab sta mettendo in crisi l’Esercito Nazionale Somalo , nonostante anni di operazioni congiunte con le forze aeree statunitensi avessero ridotto la minaccia di un vero e proprio “Stato nello Stato” jihadista nel cuore della Somalia. Le fragilità strutturali di uno Stato incompiuto Per il governo del premier Hamza Abdi Barre, la situazione si complica. L’ascesa di Al-Shabaab mette a nudo la fragilità della statualità somala, da decenni incapace di controllare l’intero territorio nazionale. Il rischio concreto è che i ribelli riescano a spezzare in due il Paese, sottraendo vaste porzioni di territorio al controllo delle autorità riconosciute. Secondo il think tank turco Soufan Center, Al-Shabaab controlla ormai un triangolo strategico tra Moqokori, Tardo e Buq-Aqable, che consente ai miliziani di accerchiare le posizioni governative e interrompere i rifornimenti all’esercito. Non solo jihad: la crisi tra Mogadiscio e il Puntland Ma la minaccia jihadista non è l’unica a incombere sulla Somalia. Il Soufan Center sottolinea come la nuova offensiva arrivi mentre crescono le tensioni politiche tra il governo federale e gli stati regionali, in particolare il Puntland. La leadership locale ha accusato Mogadiscio di trascurare le questioni di sicurezza, privilegiando gli equilibri politici interni. A metà luglio, come ha riportato Vatican News, il Puntland è stato teatro di scontri violenti tra truppe regolari e milizie secessioniste. I combattimenti, divampati nel distretto di Dhahar, mirano a replicare nel Nord-Est somalo l’esperienza del vicino Somaliland, di fatto indipendente. Un contesto turbolento che ha favorito anche il riattivarsi di cellule dello Stato Islamico, mai del tutto eliminate dalla regione. Un passaggio delicato per le missioni di pace africane Tutto ciò accade mentre la Somalia è alle prese con il passaggio tra due missioni di peacekeeping dell’Unione Africana. Nel 2025 la missione Atmis, indebolita dalle tensioni con l’Etiopia, dovrebbe lasciare il posto alla nuova Aussom. Ma la transizione è in stallo: mancano le truppe, soprattutto da parte di Addis Abeba, e il coordinamento resta fragile. Sullo sfondo, il caos somalo si inserisce in un Corno d’Africa sempre più strategico, tra le tensioni nel Mar Rosso e la crescente competizione geopolitica per l’Africa. Una miccia locale che rischia di innescare conseguenze ben oltre i confini di Mogadiscio.

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Andrea Muratore