Guerre, violenza, clima: così la fame cronica dell'Africa non si ferma

Siccità, malnutrizione, migrazioni non sono settori slegati e indipendenti, ma fronti di emergenze che si alimentano a vicenda. In alcune aree del pianeta le prove di questo nesso si percepiscono in modo più tangibile e gli effetti che ne scaturiscono diventano più evidenti. Una di queste è la provincia di Borena, nel sud dell’Etiopia. Borena, la terra in cui non piove più Questa zona del continente africano è vittima di una profonda siccità, causata dal cambiamento climatico. Manca l’acqua e di conseguenza mancano gli animali e il cibo. Dal 2021 migliaia di abitanti hanno dovuto lasciare i propri villaggi situati nella fitta vegetazione della savana per spostarsi nelle aree limitrofe alle città, con l’obiettivo di rendersi più visibili agli occhi del governo e delle organizzazioni umanitarie. A documentare gli effetti di questa profonda crisi idrica e alimentare è stato Paolo Fratter, autore del reportage “Borena, la terra senza più acqua”: “In questa regione – dice - da ormai sette anni le stagioni delle piogge non garantiscono più alla popolazione l’acqua sufficiente per vivere. La siccità ha causato la perdita di circa l’80% del bestiame e questo, per persone che vivono di pastorizia, ha generato una grave crisi non solo economica e alimentare, ma identitaria, infliggendo loro una ferita profonda”. Davanti alla mancanza di cibo e di lavoro l’unica soluzione per gli abitanti è quella di lasciare la propria terra e spostarsi: secondo i dati diffusi dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, entro il 2050 tra i 44 e i 216 milioni di persone potrebbero fuggire dalle proprie aree di origine a causa dei cambiamenti climatici. Previsioni che, invece, stando alle stime dell’UNHCR raggiungerebbero numeri ancora più gravosi, arrivando a interessare fino a 250 milioni di migranti climatici. “A scontare il prezzo più alto sono i Paesi africani che – spiega ancora Fratter – sebbene contribuiscano soltanto al 4% delle emissioni globali di gas serra, pagheranno le conseguenze per qualcosa di cui non sono stati causa, al posto dei Paesi occidentali, principali produttori di gas inquinanti”. Cosa ha deciso il vertice Onu A livello diplomatico la questione è stata al centro del secondo vertice sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite che si è svolto ad Addis Abeba dal 27 al 29 luglio. Un evento ospitato in collaborazione da Etiopia e Italia, in cui i vari leader globali si sono riuniti per riflettere sugli obiettivi condivisi verso lo sviluppo sostenibile. Tra questi, in primis, il raggiungimento della fame zero e della sicurezza alimentare entro il 2030 grazie ad appositi finanziamenti. “L'Africa è in grado di nutrire se stessa e di contribuire a nutrire il mondo. Ma ciò richiede, innanzitutto, finanziamenti per lo sviluppo. L'Africa ha bisogno di finanziamenti agevolati prevedibili” l’appello del padrone di casa, il primo ministro etiope Abiy Ahmed. A co-presiedere il summit è stata la premier italiana Giorgia Meloni che ha evidenziato le conseguenze della sfida sia politica che economica rappresentata dall’insicurezza alimentare: “Quando le persone non hanno accesso a cibo sufficiente o perdono i mezzi per produrlo, la povertà peggiora, i conflitti si intensificano e le comunità diventano più vulnerabili alla violenza, al terrorismo o alla migrazione forzata”. Il forum ha fatto da sfondo anche alla presentazione dell’ultimo rapporto sullo Stato della Sicurezza Alimentare e della Nutrizione nel Mondo, redatto congiuntamente da Fao , Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo , UNICEF, Programma Alimentare Mondiale e Organizzazione Mondiale della Sanità. Stando ai dati, se da un lato nel 2024 la fame sembrerebbe in calo per il terzo anno consecutivo, dall’altro persistono forti disparità regionali. Anche i numeri confermano l’allarme per l’Africa: qui 307 milioni di persone, cioè il 20% della popolazione, soffrono di fame cronica e la cifra è destinata a salire a 500 milioni nel 2030 se le tendenze attuali non cambieranno. A incidere sono più cause concomitanti: al cambiamento climatico si sommano i conflitti e le difficoltà finanziarie, che, come ha sottolineato il capo economista della Fao Maximo Torero, “limitano l’apertura dei mercati, fanno aumentare i costi delle importazioni e riducono l’accesso a cibo di qualità. Questo è ciò che dobbiamo evitare”.

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Ludovica Rossi