Gli equilibri geopolitici dietro il cessate il fuoco tra Thailandia e Cambogia

Dopo meno di una settimana di scontri sul confine conteso, Thailandia e Cambogia hanno raggiunto nella giornata di ieri un cessate il fuoco per scongiurare il rischio di un conflitto su larga scala nel cruciale teatro del Sud-Est asiatico. A favorire la fine delle ostilità è stata la Malesia, che ha ospitato a Kuala Lumpur i colloqui tra il primo ministro thailandese ad interim Phumtham Wechayachai e il capo del governo cambogiano Hun Manet, mediati dal premier Anwar Ibrahim alla significativa presenza di funzionari statunitensi e cinesi. Cessate il fuoco e tensioni Nonostante gli scambi d’accuse tra le forze armate delle due parti su presunte violazioni dell’intesa raggiunta lunedì 28 luglio — che prevede la cessazione degli scontri a partire da oggi — il fronte appare tranquillo. Dopo 38 morti e oltre 350 mila sfollati, lo scontro di confine più letale dell’ultimo decennio sembra essere, almeno per ora, rientrato. Dallo scorso maggio erano riprese intense schermaglie nell’area attorno all’antico tempio indù di Preah Vihear, risalente all’XI secolo, nel tratto di confine conteso tra i due Paesi. La disputa, mai realmente risolta, risale all’epoca in cui la Cambogia era sotto protettorato francese e il Siam — predecessore della Thailandia moderna — conservava l’autonomia nella regione dei monti Dângrêk. L’area contesa si estende tra il distretto cambogiano di Choam Khsant e quello thailandese di Kantharalak . Attorno a questa faglia geografica si sono cristallizzate due partite parallele. Gli scenari Da un lato, il braccio di ferro tra potere politico e forze armate in Thailandia si è acuito con la crisi: la premier Paetongtarn Shinawatra, in carica da meno di un anno, è stata sospesa per presunta cattiva gestione della crisi, mentre l’esercito — che appena tre anni fa ha formalmente restituito il potere ai civili — ha riaffermato il proprio peso durante le giornate di scontri iniziate tra giovedì e venerdì. Dall’altro, il conflitto rischiava di infiammare un quadrante geopolitico cruciale per Stati Uniti e Cina. Bangkok è saldamente allineata a Washington, mentre Phnom Penh si è avvicinata negli anni a Pechino. La stabilità dell’area è dunque diventata prioritaria per entrambe le superpotenze. Il ruolo della Malesia La Malesia, da tempo desiderosa di agire da intermediario tra Cina e Stati Uniti e di rafforzare la stabilità regionale, si è spesa in prima persona per la de-escalation. Pechino punta a preservare il suo investimento strategico in Cambogia evitando frizioni con Bangkok, mentre Washington teme che un’escalation possa offrire alla Cina un pretesto per espandere la propria influenza militare e diplomatica nell’area. Pechino si è mossa fin dalle prime ore con un appello alla calma. Gli Stati Uniti sono entrati in gioco poco dopo, facendo pressione sulle parti. Come riportato da Channel News Asia, in assenza di un cessate il fuoco “Thailandia e Cambogia avrebbero rischiato dazi del 36% sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, loro principale mercato di sbocco”. Dopo l’intesa, Donald Trump ha dichiarato di aver parlato con entrambi i leader e di aver dato mandato al proprio team commerciale di riaprire i negoziati tariffari. Una pace da costruire Il triangolo Usa-Malesia-Cina ha definito i contorni della mediazione. Ma molto resta da fare. Il cessate il fuoco è fragile, la de-escalation va consolidata, e il sistema politico thailandese — ancora segnato da instabilità — potrebbe generare nuove tensioni. Su queste dinamiche si gioca la stabilità dell’Asia sud-orientale, sempre più centrale per gli equilibri globali.

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Andrea Muratore