Quale strategia si cela dietro i raid di Israele in Siria

Alta tensione nel sud di una Siria che, a oltre sette mesi dalla caduta di Bashar al-Assad, resta spaccata e segnata dalle violenze. Negli ultimi giorni si sono registrati durissimi scontri tra le forze governative e le milizie dell’autorità drusa, con il coinvolgimento diretto di Israele, intervenuto con la giustificazione della difesa della minoranza drusa che abita le aree di confine tra i due Stati. L’epicentro degli scontri è la provincia di Suwayda, nel sud del Paese: un governatorato a maggioranza drusa, da sempre al centro di una complessa rete di tensioni etniche, politiche e militari, travolto ora da un’escalation che ha provocato almeno 248 morti. Le violenze, iniziate tra gruppi drusi locali e milizie beduine, hanno portato all’intervento diretto del nuovo governo di Damasco, guidato dal presidente ad interim Ahmed al-Sharaa. La spirale di violenza nelle aree druse Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le vittime si contano 92 membri della minoranza drusa — di cui 28 civili, 21 dei quali sarebbero stati giustiziati sommariamente dalle forze governative. Sul fronte opposto, hanno perso la vita almeno 138 membri delle forze di sicurezza siriane e 18 combattenti beduini irregolari ma allineati con il governo. Parallelamente, la crisi ha innescato una pericolosa serie di incidenti lungo il confine tra Siria e Israele. Tel Aviv mantiene da tempo uno stretto legame con la comunità drusa, che nello Stato ebraico ha uno status particolare: è una delle poche minoranze a cui è concesso servire nell’esercito. Nella giornata di ieri, Israele — che occupa dal 1967 le alture del Golan e a dicembre ha esteso la propria presenza in una zona cuscinetto oltre il confine siriano — ha colpito colonne di mezzi corazzati e postazioni militari siriane, intimando al governo di al-Sharaa di allontanare le sue truppe dal confine de facto. Le mosse di Tel Aviv Il 16 luglio l’operazione militare è salita di livello: Israele ha colpito il quartier generale delle forze armate siriane a Damasco e le unità governative vicino a Suwayda. Nel frattempo, un fragile cessate il fuoco negoziato proprio nelle aree druse sembra non reggere. Dalle comunità druse del nord di Israele decine di cittadini hanno cercato di attraversare il confine per unirsi ai combattimenti contro le milizie del governo siriano. L’inasprimento degli attacchi israeliani è arrivato a sorpresa, proprio nei giorni in cui erano emersi segnali di possibile distensione tra Tel Aviv e Damasco. A promuovere un processo di normalizzazione sono gli Stati Uniti, intenzionati a consolidare il quadro strategico apertosi con la fine del regime filo-russo di Assad e l’uscita di scena dell’Iran. Anche le monarchie del Golfo spingono per un rilancio della Siria, interessate alle opportunità di ricostruzione. La scorsa settimana, durante un incontro alla Casa Bianca, Benjamin Netanyahu e Donald Trump hanno discusso della possibile distensione con Damasco. È circolata persino l’ipotesi di un incontro tra il premier israeliano e al-Sharaa durante l’Assemblea Generale dell’Onu. A rafforzare queste indiscrezioni, i colloqui riservati avvenuti a Baku tra funzionari israeliani e siriani, a margine di una visita ufficiale del presidente ad interim siriano. Cosa vuole Israele in Siria Ma Tel Aviv, al di là delle aperture diplomatiche, mantiene una linea di fondo chiara: una Siria debole, incapace di minacciare i propri confini. Come osserva Francesco Petronella su ISPI, “il controllo delle nuove autorità siriane sul territorio e sulle forze centrifughe interne non è ancora perfettamente consolidato”. Israele, da attore regionale coinvolto sia nella questione drusa sia nei delicati equilibri con Damasco, utilizza la crisi in corso per rafforzare la propria posizione. Oltre alla sicurezza dei confini, l’obiettivo è contenere le ambizioni del nuovo regime e, soprattutto, limitarne i legami con Ankara. Il governo israeliano guarda infatti con crescente preoccupazione al ruolo della Turchia, percepita come sponsor del nuovo esecutivo siriano. Dopo l’escalation di Gaza, i rapporti tra Israele e Turchia si sono nuovamente raffreddati, e il sospetto è che Damasco possa agire come una sua pedina regionale. Tel Aviv non esclude la normalizzazione con la Siria, purché sia una Siria fragile, permeabile all’influenza israeliana. In quest’ottica, il legame con la comunità drusa e la presenza militare a sud del Paese assumono un valore strategico. Resta però da capire, come sottolinea ancora Petronella, se per Israele la distensione con Damasco auspicata da Washington valga più della protezione dei drusi, o se invece la Siria rappresenti solo una tappa nella più ampia strategia israeliana per riscrivere l’ordine regionale. Ieri la priorità era Teheran, oggi è Ankara. E la Siria è di nuovo un campo di battaglia decisivo per gli equilibri del Medio Oriente.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Quale strategia si cela dietro i raid di Israele in Siria