Con il suo “America party” Elon Musk fa sul serio?

Lo scorso 7 luglio Elon Musk ha affidato ai suoi centinaia di milioni di follower su X un annuncio roboante: dopo l’approvazione del “Big Beautiful Bill” coi nuovi piani di spesa federale dell’amministrazione Trump, l’imprenditore di Tesla ha deciso di passare all’azione, facendo seguito alla caotica fine del suo ruolo di first buddy a Washington. "Quando si tratta di mandare in bancarotta il nostro Paese con sprechi e corruzione, viviamo in un sistema monopartitico, non in una democrazia", ha spiegato Musk sul suo profilo. "Oggi, l'America Party viene formato per restituirvi la libertà". La prima domanda che si sono posti in molti è: l’America Party sarà un vero tentativo di riforma politica del sistema a due partiti, o è l’ennesima operazione propagandistica? Una nuova formazione “di centro” lanciata da una delle persone più ricche del mondo fa notizia, ma per valutarne motivazioni, reazioni e ostacoli concreti bisogna fare un passo di lato. Col suo sondaggio di inizio mese su X, "volete un nuovo partito politico?", Musk ha ottenuto più dell’80 % dei «Sì», ma farebbe bene a non scambiare il suo profilo per il popolo americano allargato. In ogni caso, l’America Party avrà un programma "fiscalmente conservatore" e orientato alla riduzione del debito pubblico; per ora non si è registrato alla Federal Election Commission . Musk però è stato chiaro su un altro punto: l’obiettivo della nuova formazione non sono le elezioni presidenziali – per lui peraltro costituzionalmente inarrivabili, essendo nato all’estero – ma il piazzare al Congresso 2–3 senatori e 8–10 deputati, in modo che esercitino un "voto decisivo" su leggi specifiche . Un’idea figlia della fine fragorosa della sua alleanza con Trump. Musk ha definito la recente legge fiscale un "via libera al debito" e, di scontro in scontro, il rapporto fra i due tycoon si è inacidito. Ma non è detto che l’America Party sia il viatico della vendetta: i sondaggi dicono che l’opinione pubblica americana rimane poco convinta; un rilevamento YouGov dei giorni scorsi ha trovato che solo l’11% degli statunitensi si dichiara disponibile a valutare l’adesione a un nuovo partito “terzo”, pur in una situazione di consenso teorico per un’alternativa ai due blocchi di Repubblicani e Democratici. Secondo esperti interpellati dal Washington Post, l’obiettivo stesso di rivolgersi a un "elettorato moderato saldo" si sposa malissimo con una realtà contemporanea che spinge gli indecisi e gli indipendenti a votare strategicamente per i due grandi partiti. Non mancano tentativi simili a quello di Musk, nella storia anche recente: come quello di Ross Perot con il Reform Party o quello di Michael Bloomberg, progetti hanno avuto visibilità e risorse ma si sono infranti sui paletti del sistema bipartitico e maggioritario. Sul piano istituzionale, peraltro, la presentazione di una nuova formazione politica è tutt’altro che immediata: ogni Stato ha regole diverse che riguardano le firme necessarie, le soglie di registrazione elettorale e le condizioni per rimanere sulla schedai. In California, per esempio, per presentarsi alle urne servirebbero le firme dello 0,33 % degli elettori registrati – circa 75.000 persone – o in alternativa più di un milione di firme di supporto diretto, con l’obbligo di superare il 2 % dei voti in un’elezione statale per mantenere lo status di partito politico. Un’operazione complessa, costosa – si parla di centinaia di milioni di dollari – e con un orizzonte pluriennale . Persino il nome “America Party” potrebbe portare a problemi incorrendo in restrizioni a livello statale: è già accaduto nello Stato di New York, le cui leggi vietano parole come “American” nei nomi di formazioni politiche. Le prime reazioni politiche non si sono fatte attendere, in ogni caso: Trump ha definito il progetto "ridicolo", e poi anche una "catastrofe" destinata al caos , mentre il presidente del Comitato nazionale Democratico Ken Martin ha preferito non sottovalutare l’iniziativa, viste le ingenti risorse finanziarie e mediatiche di Musk. Altri osservatori hanno parlato della possibilità che Musk generi una crepa all’interno del fronte Repubblicano, fungendo da catalizzatore di gruppi libertarian o moderati . In generale, come riportato dal New Yorker, i dubbi dei politologi più seri permangono: quelli di Michigan e Carleton stimano che le barriere organizzative, culturali e legali che si frappongono tra questo progetto e la sua riuscita siano quasi insormontabili . Anche Reuters ha sottolineato la necessità di tempo , di infrastrutture presenti in ogni stato, e di almeno un miliardo di dollari di investimenti iniziali per fare di questa uscita estiva una realtà capace di cambiare la politica statunitense . Ma ci sono anche motivi per lasciare una porta aperta a possibili sorprese: diversamente da quanto visto anni fa con Perot o Bloomberg, Musk dispone già di una rete di finanziamento più che efficace: se ridimensionasse i suoi obiettivi verso la selezione e il sostegno di singoli candidati in distretti strategici, potrebbe ritagliarsi un ruolo da deus ex machina di un nuovo centro tecno-libertario . La chiave del possibile successo di Musk passa tutta da qui: se l’America Party non dovesse affermarsi a livello nazionale ma limitarsi a poche battaglie locali, sfruttando l’eco di questo o quel voto mediaticamente rilevante, allora la sua influenza potrebbe davvero tradursi in potere politico. Oppure, la sua direzione potrebbe essere mettere pressione interna al GOP, cercando di spingere i Repubblicana lontano da Trump. Insomma, sì: l’America Party ha una componente propagandistica evidente, ma è meglio non derubricarlo subito a sparata di un ego sovradimensionato. Solo il tempo ci dirà se la politica americana sta per vivere un momento di svolta o meno.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Con il suo “America party” Elon Musk fa sul serio?